Sta prendendo piede l’idea di stabilire all’età di 61 anni, un canale di uscita preferenziale per la pensione. Lasciare a 61 anni il lavoro potrebbe diventare una possibilità nel 2023. Una età così bassa come mai prima d’ora un governo aveva pensato di intervenire. Ma bisogna essere onesti nel considerare queste ipotesi come delle cose tra le più lontane dal poter essere considerate delle misure a platea vasta. Infatti le richieste dei lavoratori sono altre, e riguardano le possibilità di andare in pensione per soggetti che tutto hanno tranne che una carriera lunga e continua. E sono proprio carriere di questo tipo quelle che dovrebbero riguardare un tipo di pensionamento talmente vantaggioso come potrebbe essere quello proprio a 61 anni di età, ma solo anagraficamente.
Come si esce a 61 anni in base alle idee del nuovo governo sulla pensione anticipata
Parlando di pensioni l’argomento del momento ha un solo nome ed è 61 anni. Perfino la quota 41 che da anni viene vista come una sorta di panacea per i mali dell’intero sistema pensionistico, ha nei 61 anni di età un fattore sempre più determinante. Il nuovo governo infatti vorrebbe varare una quota 41 che ha nei 61 anni di età quella minima per poter sfruttare la misura. Ma 61 anni di età dovrebbe essere anche l’età minima della pensione flessibile che sempre l’esecutivo Meloni vorrebbe introdurre nel sistema pensionistico nostrano. Per la quota 41 è inutile sottolineare che oltre ai 61 anni di età dovrebbero essere completati anche 41 anni di contributi versati. Per la pensione flessibile a partire dai 61 anni, la contribuzione minima prevista dovrebbe essere pari a 35 anni. Ma per uscire a 61 anni di età ne occorrerebbero 39. Infatti con 35 anni uscirebbero quanti hanno almeno 65 anni di età. Ma 61 + 39 sarebbe una via solo se si pensasse alla quota 100, perché se si pensasse alla quota 102 servirebbero 41 anni insieme ai 61 già citati. E ne servirebbero addirittura 42 per la quota 103.
Le vere pensioni flessibili nel 2023
È evidente che parliamo di misure sì vantaggiose dal punto di vista dell’età pensionabile, ma piuttosto rigide e radicali dal punto di vista dell’età contributiva. Tra le altre cose, per come stanno per prendere piede queste misure, si tratterebbe di concedere il vantaggio di qualche anno o addirittura di qualche mese rispetto alla pensione anticipata ordinaria già in vigore. Per esempio, se venisse varata la quota 102, un lavoratore potrebbe uscire a 61 anni, ma come alternativa avrebbe la pensione anticipata ordinaria dopo un anno e dieci mesi. Stesso discorso quota 41. E se si pensa alle donne, la cui pensione anticipata ordinaria si centra con 41 anni e 10 mesi di contributi, la distanza tra questo fantomatico anticipo a 61 anni di età e la pensione di vecchiaia ordinaria, sarebbe di soli 10 mesi.
Dovrebbero bastare 20 anni di contributi per considerare la pensiona davvero flessibile
I lavoratori invece gradirebbero una misura che tagliasse la testa al toro consentendo il pensionamento a 61 anni a tutti. Ed una volta raggiunti 20 anni di contributi versati. Così sarebbe una misura davvero flessibile, che consentirebbe a lavoratori che hanno maturato la carriera minima per la quiescenza di vecchiaia ordinaria, di poter liberamente scegliere. E decidere quando uscire in una forbice di età compresa tra i 61 e 67 anni. Tanto, uscendo prima chi ci rimetterebbe sarebbero gli stessi lavoratori. Ogni anno di lavoro in più infatti significherebbe una pensione più alta, ma non può essere lo Stato a decidere se un lavoratore può accontentarsi o meno di una pensione più bassa, o almeno questo è l’auspicio di molti dei nostri lettori che si lamentano delle nuove misure che potrebbero fare capolino nella legge di Bilancio.