La manovra aiuta i deboli, continua a ripetere così la Premier Giorgia Meloni quando parla della legge di Bilancio che adesso deve essere ultimata in Parlamento. Le opposizioni e i critici invece parlano di manovra deludente che fa un assist agli evasori fiscali per via di alcuni provvedimenti assai particolari come la sanatoria delle cartelle o l’aumento delle soglie dei pagamenti elettronici e del contante. Inoltre, il fatto che si limiti il reddito di cittadinanza pare un intervento che, sempre secondo le minoranze, va contro le persone più in difficoltà. C’è un provvedimento però che sembra tagliato alla perfezione per dare manforte a chi ricco sicuramente non può essere considerato. Parliamo del nuovo taglio di cuneo fiscale. Ed altri 395 euro in più in busta paga da gennaio finiranno ai lavoratori con i redditi più bassi.
Cosa cambia per i lavoratori
Il cuneo fiscale altro non è che la differenza tra stipendio netto e stipendio lordo per i lavoratori dipendenti. Tagliare il cuneo fiscale significa aumentare ciò che finisce sui conti correnti dei lavoratori, riducendo la tassazione sul lavoro. Ed è proprio su questo che interviene il governo con un nuovo taglio del cuneo fiscale. In pratica con uno sgravio sui contributi da versare, il governo ha deciso di aumentare le buste paga per i redditi più bassi. Si prosegue quindi sulla strada tracciata già dal precedente governo Draghi, e si sale ad un taglio pari al 3%, per chi guadagna fino a 20.000 euro annui. Tradotto in termini pratici e quindi in soldi, si tratta di un incremento di 395 euro annui. Naturalmente si parte dalle fasce reddituali più basse, perché per chi ha stipendi fino a 10.000 euro all’anno, ci sarà un incremento di 231 in più.
Altri 395 euro in più in busta paga da gennaio per i lavoratori sotto determinati redditi
In pratica il nuovo governo non fa altro che confermare lo sgravio sui contributi lasciandolo al 2% per gli stipendi più elevati e aumentandolo al 3% per quelli più bassi. Ed il tutto senza gravare sulle imprese, perché il surplus di stipendio non scaturirà da un maggiore esborso da parte delle aziende. Inoltre non si perde nulla dal punto di vista pensionistico. Infatti il taglio limita ciò che ogni mese il lavoratore accantona per la sua pensione. Si tratta della quota di contribuzione a carico del lavoratore sul 33% di aliquota contributiva che ogni mese viene applicata. Il 9,19% di questo 33% infatti è a carico del lavoratore. E sarà su questo 9,19% che si applicherà lo sgravio. Con lo Stato che verserà ciò che non versa il lavoratore per garantirgli la stessa pensione che avrebbe preso senza taglio. Il provvedimento del governo Draghi che era pari al 2% scadeva il 31 dicembre 2022 ma il nuovo esecutivo l’ha prorogato ed aumentato per le fasce più deboli.