Aumento pensioni deludente a gennaio, ma forse arretrati ricchi anche a 3 zeri Aumento pensioni deludente a gennaio, ma forse arretrati ricchi anche a 3 zeri

Aumento pensioni deludente a gennaio, ma forse arretrati ricchi anche a 3 zeri

Le pensioni nel 2025 a partire dal rateo di gennaio aumenteranno. Su questo i dubbi non ci devono essere. Perché l’aumento del costo della vita effettivamente porterà ad un incremento degli assegni come da anni a questa parte succede ogni gennaio.
Questo nel merito della situazione economica del Paese e delle pensioni. Ma nel metodo qualcosa da dire riguardo l’aumento delle pensioni c’è. Perché saliranno di poco rispetto agli ultimi anni. In questo caso non per volere del governo bensì per via dell’aumento del costo della vita inferiore rispetto agli anni precedenti. Infatti se a gennaio 2023 si passò a una rivalutazione delle pensioni a partire dal 7,3% (poi 8,1%) e poi a gennaio 2024 a partire dal 5,4%, nel 2025 il tasso sarà solo dell’1,6%.
Ma sempre nel metodo della rivalutazione, c’è da fare i conti con la rivalutazione ridotta a partire da pensioni sopra 4 volte il minimo.

Un metodo che però sta facendo discutere e potrebbe portare ad una dichiarazione di incostituzionalità da parte della Corte Costituzionale. Una sentenza degli ermellini della Consulta che potrebbe produrre il piacevole risultato di arretrati cospicui per molti pensionati. Che potrebbero recuperare cifre a tre zeri per gli anni addietro.

Aumento pensioni deludente a gennaio, ma forse arretrati ricchi anche a 3 zeri

Partiamo dalla base, e da come funziona l’indicizzazione delle pensioni. Il meccanismo è ormai fisso nel senso che per le pensioni che di importo sono fino a 4 volte il trattamento minimo, le pensioni salgono in misura piana rispetto al tasso di inflazione. Se questo è del 5% le pensioni salgono del 5%. Poi si passa all’aumento ridotto, per le pensioni sopra 4 volte il trattamento minimo. Con uno schema che porta ad un aumento non al 100% rispetto al tasso di inflazione, ma all’85%, al 53%, al 47%, al 37% ed al 22% man mano che salgono gli assegni percepiti.

Quindi, aumenti ridotti per i pensionati, tanto più alta è la pensione percepita. In barba al fatto che è la nostra Costituzione a stabilire che la retribuzione di un cittadino che lavora deve essere commisurata alla qualità del lavoro che svolge ed alla quantità dello stesso. Un principio costituzionale che evidentemente per il lavoratore quando va in pensione viene messo a rischio da questa rivalutazione usata adesso.

Perché le pensioni aumentano in maniera non proporzionale al merito del contribuente

Se la Costituzione prevede il merito per chi è riuscito a raggiungere delle retribuzioni più elevate, a prescindere che dipenda dalla qualità del lavoro che è riuscito a trovare l’individuo piuttosto che dalla quantità di lavoro che è riuscito a svolgere, da pensionati, almeno in base al meccanismo della perequazione, questo merito non viene valutato.
Chi prende una pensione elevata è perché avendo lavorato molto ha versato molti contributi. Oppure perché il lavoro che svolge, alla luce dello studio fatto o delle qualifiche ottenute con sacrificio, è di elevato livello. Come tutti sanno nel sistema pensioni attuale, più alto è lo stipendio che si prende maggiore è la contribuzione che si versa.

Prima non era così, perché vigeva il sistema retributivo. Però era pur sempre vero che più alta era la retribuzione, soprattutto negli ultimi anni di carriera, più alta era la pensione. Adesso con la perequazione chi prende una pensione più alta, anche se l’ha meritata, viene penalizzato. E da un ricorso presentato ai giudici della Consulta, è proprio questo aspetto meritocratico che viene messo in discussione.

Taglio della perequazione e Corte Costituzionale, ecco perché qualcosa non va

Il taglio della perequazione proviene da lontano. Sono diversi gli anni che si adotta questo taglio ai pensionati sopra 4 volte il trattamento minimo. A prescindere dalle aliquote applicate, qualcosa hanno perduto questi pensionati. Adesso la Consulta dovrà decidere sul ricorso e sulla presunta incostituzionalità del meccanismo. E semmai dovesse dare ragione al ricorso, pronunciandosi nel modo che molti si aspettano, ecco che si aprirebbe la possibilità per molti pensionati vessati dal taglio della rivalutazione, di essere a credito di molti soldi, anche a tre zeri come dicevamo prima.

Una cosa simile per esempio accadde per il blocco della rivalutazione della legge Fornero, tanto per i dipendenti pubblici che per i pensionati. In quel caso la Corte Costituzionale dette contro quella legge e determinò un recupero, anche se parziale (per esempio con il noto bonus Poletti), di ciò che i contribuenti interessati avevano perso.