Le pensioni nel 2025 con il rateo di gennaio aumenteranno anche se di poco se rapportato a ciò che i pensionati hanno percepito lo scorso gennaio 2024 e ancora di più del gennaio precedente (2023, ndr). L’aumento del costo della vita effettivamente porterà ad un incremento degli assegni anche se con un tasso decisamente più basso rispetto all’ultimo biennio. Perché l’inflazione ha frenato e non è salita come invece nel 2023 e nel 2022.
Adesso l’attesa è per la modalità di adeguamento delle pensioni. Con il governo che vuole applicare lo stesso meccanismo del 2024, con aumenti a scalare in maniera inversamente proporzionale all’importo della pensione. Più alta la pensione meno aumento si ottiene in percentuale. E con le opposizioni e i sindacati a chiedere un aumento al 100% a tutti i pensionati. L’attesa è per la scelta del governo, tra l’assecondare le richieste di sindacati e minoranze parlamentari o se proseguire sulla sua strada. Una strada però su cui pende l’esito di una pronuncia della COrte Costituzionale che dovrebbe arrivare a breve. E che potrebbe rimescolare le carte in tavola. Favorendo in maniera esponenziale i pensionati.
Aumento pensioni: l’attesa per avere arretrati di oltre 1.000 euro, ecco chi li prenderà
Le pensioni a gennaio saliranno di poco rispetto agli ultimi anni. Se consideriamo che nel 2024 a gennaio gli assegni furono incrementati del 5.4% e a gennaio 2023 del 7.3%, ecco che un aumento dell’1,6% come si prevede adesso per il 2025 è davvero poca cosa. Una pensione da 1.000 euro per esempio, salirebbe di 16 euro soltanto. Lo schema della perequazione che adesso è finito sotto la lente di ingrandimento della Consulta, prevede un aumento pieno e al 100% (ovvero pari all’1,6%) per le pensioni sopra 4 volte il trattamento minimo. Per le pensioni fino a 5 volte il trattamento minimo l’aumento è pari all’85%. E poi, è pari al 53% per le pensioni fino a 6 volte il trattamento minimo, al 47%, al 37% ed al 22% rispettivamente per quelle fino a 8 volte, fino a 10 volte e oltre 10 volte sempre il trattamento minimo.
Perché l’aumento delle pensioni rischia di essere sproporzionato e panalizzante
Tagli di assegno per chi ha maturato pensioni elevate, quasi fosse una loro colpa. E invece qualcuno ha pensato di ricorrere alla Corte Costituzionale perché effettivamente secondo la Carta Costituzionale il diritto alla retribuzione di un lavoratore deve essere proporzionale alla quantità del lavoro che svolge e pure alla qualità di questo lavoro. Significa che se uno fa lavori qualitativamente elevati, ha diritto a prendere retribuzioni elevate. E quindi a versare contributi proporzionati alla retribuzione che alla fine generano pensioni altrettanto proporzionate all’entità dei versamenti.
Invece con il meccanismo della perequazione sembra che sia quasi una colpa avere delle retribuzioni alte che generano una pensione alta. A tal punto che quando è il momento di adeguare all’inflazione e di non far perdere il potere di acquisto a queste pensioni, lo Stato lo penalizza.
Cosa può accadere adesso sull’aumento delle pensioni
Adesso la Consulta deve stabilire la presunta incostituzionalità di questi aumenti ridotti. E se per caso la Corte Costituzionale darà ragione al ricorrente, ecco che si potrebbero generare arretrati fuori norma per milioni di pensionati. Perché di fatto dal 2023 ad oggi (ma anche prima pure se in misura inferiore come taglio), un pensionato ha perso davvero molto.
Per esempio, su una pensione da 3.000 euro (tra 4 e 5 volte il trattamento minimo), l’aumento doveva essere nel 2023 di 219 euro al mese e invece è stato di 186,15 euro. Nel 2024 la pensione è salita a 3.186,15 ma doveva salire a 3.219 euro. L’aumento pari all’85% del 5,4% ottenuto su una pensione di 3.186,15 euro doveva essere su 3.219 euro e da 146,24 euro si passava a 147,75 euro al mese. Ma a rivalutazione piena come potrebbe decidere la Consulta, l’aumento doveva essere, su 3.219 euro pari a 173,83 euro. Significa che una pensione sopra 4 volte il trattamento minimo e fino a 5 volte che nel 2023 era pari a 3.000 euro nel 2024 doveva essere arrivata a 3.392,83. E tutte le differenze mese dopo mese portano inevitabilmente ad una dote di arretrati che va ben oltre 1.000 euro e tende sempre più a salire man mano che salgono le pensioni.
I tre possibili scenari futuri
Se la Consulta darà ragione alla presunta incostituzionalità della norma, ecco che milioni di pensionati sarebbero a credito dell’INPS per cifre esorbitanti. Producendo quel terremoto sui conti pubblici che lascia tristi presagi sulla sostenibilità di un sistema pensioni già oggi in grave crisi. A meno che non si arrivi alla solita soluzione all’italiana. Con i pensionati risarciti di poco, magari con una liquidazione una tantum di poche centinaia di euro a parziale tamponamento della falla venutasi a creare. o addirittura annullando l’ipotesi arretrati, garantendo però solo gli aumenti pieni per le mensilità successive alla sentenza.