Previsto l’aumento delle pensioni minime per il 2025: l’importo mensile dovrebbe arrivare a quasi 621 euro (620,92 euro). Sembra essere riconfermata la rivalutazione straordinaria al 2,7% anche per il 2024 che sommata all’1% di inflazione dovrebbe portare le pensioni minime a quasi 621 euro al mese, rispetto ai 614 euro previsti nel 2024.
A sostenere la tesi alcune fonti che hanno visionato il testo della manovra. La conferma della rivalutazione straordinaria al 2,7% è una notizia molto importante per chi percepisce la pensione minima che, in caso contrario, nonostante la rivalutazione 2025 avrebbe visto l’importo mensile percepito scendere rispetto al 2024.
Rivalutazione straordinaria per le pensioni minime
A percepire la pensione minima in Italia sono circa 1,8 milioni di pensionati. L’aumento del 2,7% attuato a gennaio 2024 doveva durare solo per il 2024, ma dalla Legge di Bilancio 2025 non viene annullate per evitare che questa decisione porti gli assegni in questione a diminuire.
Prorogato anche per il 2025, quindi, l’aumento del 2,7% avrà un effetto positivo sull’importo. La rivalutazione all’1% preventivata per il 2025, infatti, porterebbe la pensione minima a passare da 598,61 euro a 604,6 euro. Questo dovrebbe essere l’importo della pensione integrata al minimo per il 2025. Applicando sull’importo il 2,7% di rivalutazione straordinaria, però, l’assegno sale a 620,92 euro.
Mantenendo l’incremento ricevuto lo scorso anno, quindi, le pensioni minime mantengono un minimo di potere di acquisto poiché in caso contrario si sarebbe passati dal 614 euro del 2024 ai 604 euro del 2025.
Leggi anche: Aumento pensioni già a dicembre con 12 mesi di arretrati: 23 euro in più sulle minime
L’integrazione all’assegno sociale
Un’altra misure prevista dalla manovra è quella che permette di usare i fondi integrativi del Tfr per arrivare all’importo dell’assegno sociale per chi ha diritto alla pensione di vecchiaia a 67 anni. Cerchiamo di capire di cosa si tratta.
Per chi ha versato contributi a partire dal 1996 e ricade interamente nel sistema contributivo non è prevista l’integrazione al trattamento minimo. Ci sono casi, quindi, in cui l’assegno percepito potrebbe risultare più basso dell’importo dell’assegno sociale e questo non permetterebbe al soggetto di andare in pensione a 67 anni.
Per chi ricade nel sistema contributivo puro, infatti, uno dei requisiti di pensionamento a 67 anni è che la pensione percepita sia pari almeno all’assegno sociale (534,41 euro nel 2024). Quando questo non avviene la pensione è rimandata a 71 anni.
Per evitare che ciò accada, nella manovra è previsto che per arrivare all’importo in questione possano essere utilizzati i fondi integrativi.
Si tratta di una misura che riguarda davvero pochissimi lavoratori: chi non riesce a raggiungere con la pensione l’importo dell’assegno sociale, infatti, molto probabilmente nella vita ha avuto stipendi molto bassi che hanno dato luogo a una contribuzione altrettanto bassa. E chi non ha stipendi decenti, di conseguenza, difficilmente si iscrive a un fondo di previdenza integrativa.