Secondo uno studio della CGIA di Mestre le babi pensioni sono 562mila, di persone, che sono in quiescenza da almeno 40 anni e che hanno, ora, una media di 87 anni. Un pensionamento a 47 anni di età media, oggi pressochè impensabile (visto che l’età media di pensionamento in Italia si aggira sui 62/64 anni).
Baby pensioni e riforma
Le baby pensioni sono un macigno che pesa sulle casse dello stato per 7 miliardi di euro l’anno (si parla, ed è importante sottolinearlo, dello 0,4% del PIL nazionale), ovvero un importo che supera di quasi 2 miliardi la spesa stanziata per coprire coloro che nel 2020 hanno fruito della quota 100.
Si tratta di coloro che hanno lasciato il lavoro pubblico sul finire degli anni 80 gran parte dei quali erano invalidi o ex dipendenti di grandi aziende, ma anche ex dipendenti della pubblica amministrazione.
Proprio questi ultimi, dallo studio, risultano essere quelli che hanno lasciato il lavoro prima (si para di pensionamento ad un età media di 41,9 anni) con circa 20 anni di anticipo rispetto a chi oggi vuole fruire della quota 100 (che già permette un buon anticipo sulla pensione di vecchiaia). La “moda” delle baby pensioni, purtroppo si è protratta fino all’entrata in vigore della legge DINI,parliamo quindi del 1996.
Si tratta di scelte politiche ed economiche che hanno concesso dei privilegi enormi di pensionamento di cui, oggi, paghiamo le conseguenze. Una delle quali è proprio quella delle casse dell’INPS perennemente in rosso. E chi dice che non è anche per questo scotto da pagare che nel 2012 la legge Fornero ha dovuto essere così rigida imponendo, tra le altre cose, anche l’adeguamento dell’età pensionabile all’aspettativa di vita Istat che sta portando le pensioni italiane sempre più aventi negli anni e sempre più vicine alla soglia dei 70 anni?