Sapete qual’è il problema principale del settore lavoro domestico? L’attività di badante o di colf è pesantemente colpito dal lavoro sommerso, perché restano tante le lavoratrici ed i lavoratori in nero in questo settore lavorativo. Ma se il lavoro nero nasce dal fatto che il datore di lavoro vuole risparmiare soldi di stipendio, di contributi e di indennità, la strada è nettamente sbagliata. Al termine del rapporto di lavoro, a prescindere dalla motivazione che porta all’interruzione, tutte le cose che il datore di lavoro pensava di aver risparmiato, possono tornare ad essere dovute al lavoratore. Anzi, nella stragrande maggioranza dei casi, il datore di lavoro non la fa franca.
Da dove nasce la diffusione del lavoro nero nel settore domestico
L’obbiettivo principale di un datore di lavoro che ha in nero un addetto è il risparmio. Il risparmiare sui soldi da versare al lavoratore con lo stipendio mensile, che se in nero non deve essere collegato ai minimi tabellari del CCNL. Risparmio anche sulle tasse collegate a lavoro e assunzioni perché se in nero per il lavoratore non si versano contributi, non si redige busta paga, non si paga il consulente che deve seguire il rapporto di lavoro e così via dicendo.
Inoltre molti dei diritti del lavoratore vengono meno, perché le ferie retribuite non esistono, i permessi nemmeno, gli scatti di anzianità per niente e tutto il resto che in genere un lavoratore deve avere. Nella stragrande maggioranza dei casi il datore di lavoro se ha in nero una badante, non garantisce nemmeno il TFR, cioè la buonuscita.
Il lavoro nero e cosa si rischia per badante o colf
Per il lavoratore in nero non si maturano contributi per la pensione futura e non si maturano contributi utili eventualmente alla indennità di disoccupazione nel caso in cui si interrompe il rapporto di lavoro. Questo ciò che rischia il lavoratore, mentre il datore di lavoro rischia di essere denunciato, di pagare sanzioni e di dover versare al lavoratore tutto quanto non versato in tempo con una regolare assunzione.
A partire naturalmente dal TFR. Ogni mese il lavoratore mette da parte il corrispettivo della retribuzione annuale percepita diviso 13,5. Questa è la formula di calcolo del TFR che spetta al lavoratore alla fine del rapporto di lavoro. Se al termine del rapporto di lavoro la badante cita il datore di lavoro, il calcolo del TFR che un giudice del lavoro può utilizzare per determinare cosa deve versare alla lavoratrice il citato, è questo.
I testimoni e come il datore di lavoro della badante in nero rischia gravi conseguenze
Un datore di lavoro con dipendente in nero oltre al TFR che sarà costretto a pagare, dovrà versare le ferie non godute, le differenze retributive, i permessi ed ogni altra cosa che la badante dimostrerà di non aver ricevuto. Per la lavoratrice serve che qualcuno (un testimone per esempio), dimostri da quando è in servizio presso quella famiglia. In nove casi su dieci che finiscono davanti ai giudici del lavoro, la badante ha sempre ragione.
Per il datore di lavoro inadempiente all’assunzione inoltre c’è da considerare la relativa sanzione amministrativa che anche per un solo mese di lavoro in nero può arrivare a 10.800 euro. Oltretutto il datore di lavoro sarà chiamato a versare, anche in questo caso con sanzioni annesse, tutti i contributi previdenziali non versati prima.