Il lavoro domestico ormai è diventato un lavoro diffusissimo e identico agli altri dal punto di vista strutturale, anche se mantiene alcune particolarità che lo rendono unico nel suo genere.
Prima di tutto il datore di lavoro non è un sostituto di imposta e questo dal punto di vista fiscale è una prima sensibile particolarità. Poi c’è la questione dello stipendio, che dovrebbe essere in linea con i minimi contrattuali previsti dal CCNL di categoria a seconda delle mansioni svolte, del ruolo (badante, colf, baby sitter e così via), dell’anzianità di servizio e delle competenze.
Nulla di nuovo da questo punto di vista, perché così funziona nella stragrande maggioranza dei settori. Ma nel lavoro domestico la confusione sullo stipendio regna sovrana, perché è davvero raro che si segua alla lettera ciò che dice il CCNL.
Gli assistenti familiari devono versare la loro parte di contributi
Il datore di lavoro che non funge da sostituto di imposta non deve trattenere per la badante o la colf, l’Irpef e le sue relative addizionali. Il versamento o il rimborso Irpef a conguaglio sarà fatto in sede di dichiarazione dei redditi dalla lavoratrice o dal lavoratore.
Il datore di lavoro non deve erogare alla badante o alla colf gli assegni familiari. Deve essere il lavoratore a richiederli all’Inps da sola e li incasserà in due rate semestrali come l’Inps stesso prevede.
Il datore di lavoro deve obbligatoriamente versare i contributi previdenziali per la badante o la colf, ma l’obbligo vale solo per la sua quota, perché quella in capo al lavoratore, dovrebbe essere trattenuta sulla busta paga.
Stipendio lordo o netto, quale la via più utilizzata?
Nel settore del lavoro domestico sono due le tipologie di retribuzione previste ed utilizzate dai datori di lavoro quando assumono una lavoratrice o un lavoratore.
In sede di stipula del contratto le parti concordano la retribuzione che in genere è lorda. Quando si adotta questa via, la busta paga mensile deve contenere lo stipendio lordo, e quindi quello pattuito e pure quello netto, una volta detratti dal lordo i contributi a carico collaboratore domestico (sia la quota Inps che quella cassa colf).
Questa sarebbe la strada canonica e ordinaria, ma che nasconde un problema che è quello dell’importo dello stipendio netto che sarà diverso mese per mese in base a quanto dovrebbe versare di contributi il collaboratore.
Per questo la via che la maggior parte dei datori di lavoro seguono è quella dello stipendio netto. Ciò che le parti concordano è lo stipendio netto e pertanto nella busta paga le due voci, cioè stipendio lordo e netto combaceranno.
La legge non prevede questa via, o meglio, non è una via che la legge ammette come opzione. Però la si isa per comodità. In tutti i casi la certificazione unica rilasciata a consuntivo dell’anno precedete al lavoratore, riporta le quote di contributi a carico del lavoratore, anche se nella busta paga questi mancano.