La quota 100 che dal 1° gennaio 2022 ha chiuso definitivamente la sua sperimentazione, permetteva il pensionamento con 62 anni di età e 38 di contributi versati. Nel 2022 si passò a quota 102, con età di partenza 64 anni. Ma le uscite a 62 anni sono tornate in voga con quota 103. Questa misura nel 2023 ha riportato a 62 anni l’età pensionabile per i quotisti. Con un netto aumento dei contributi necessari però, che sono passati da 38 a 41. Che si parli di riconferma di quota 103 nel 2024, oppure che si tratti di una nuova misura flessibile che parte proprio dai 62 anni come vorrebbero i sindacati, cambia poco.
Perché questa è l’età che i lavoratori vorrebbero come quella di partenza per poter andare in pensione. Ma siamo sicuri che sia conveniente? Perché uscire prima comporta dei tagli di assegno. E ne comporterebbe altri se per contenere la spesa pubblica, una nuova misura di pensionamento flessibile uscisse con ulteriori penalizzazioni.
Pensione con metodo contributivo
Un sistema pensionistico basato sul metodo contributivo deve necessariamente avere flessibilità in materia di uscita dal lavoro. Nel sistema contributivo più contributi si versano nel montante contributivo, più si percepisce di pensione. Naturalmente chi ci rimetterebbe in termini di assegno di pensione se la carriera viene interrotta prima, sarebbe lo stesso lavoratore. Inoltre il meccanismo di calcolo delle pensioni si basa su coefficienti che servono a trasformare tutto ciò che si è versato come contributi in pensione. E sono coefficienti che determinano una pensione via via più bassa, quanto prima si lascia il lavoro. Quindi è vero che è bello andare in pensione a 62 anni, ma per qualcuno è un disastro proprio per via di queste regole.
Come si calcolano le pensioni e perché chi ci rimette è quello che va in pensione prima
La data di entrata in vigore del sistema contributivo e la data di inizio di una carriera lavorativa sono i due fattori che incidono di più sul calcolo della pensione. Naturalmente oltre all’importo dei contributi che si versano. Chi ha iniziato la carriera dopo il 1996, non può che ottenere una pensione calcolata integralmente con il metodo contributivo, perché la riforma delle pensioni di Lamberto Dini è entrata in vigore con il suo sistema contributivo proprio nel 1996.
Chi ha almeno 18 anni di contributi versati già al 31 dicembre 1995 ha diritto al calcolo retributivo della pensione fino al 31 dicembre 2011. Chi invece ha meno di 18 anni a quella data, ha diritto al calcolo retributivo solo fino al 31 dicembre 1995. Il sistema retributivo è notoriamente più vantaggioso del sistema contributivo. Perché si basa sulle ultime retribuzioni e non sul montante dei contributi versati. Che tra l’altro genera una pensione dopo aver moltiplicato l’ammontare complessivo dei versamenti per i coefficienti spettanti. Che sono tanto più sfavorevoli quanto prima si va in pensione come età.
I coefficienti validi nel 2023 e come funzionano
La somma di tutti i contributi che un lavoratore ha accumulato, deve essere moltiplicata per i seguenti coefficienti:
- 62 anni di età con coefficiente 4,88%;
- 63 anni di età con coefficiente 5,03%;
- 64 anni di età con coefficiente 5,18%;
- 65 anni di età con coefficiente 5,35%;
- 66 anni di età con coefficiente 5,53%;
- 67 anni di età con coefficiente 5,72%.
Per un lavoratore con 1.800 euro medi di stipendio per tutta la carriera, con 30 anni di contributi il montante contributivo è di circa 230.000 euro. Evidente che uscire dal lavoro a 62 anni genera 11.224 euro di pensione. Uscendo a 63 anni invece ne genera una da 11.569 euro, mentre a 67 anni ne genera una da 13.156 euro. Perdere quasi 2.000 euro all’anno di pensione, anche se si tratta di un semplice esempio, non è certo la cosa più conveniente.