“Chi evade non vota”, una proposta forte, che scuote il dibattito pubblico e accende i riflettori su una questione spinosa far coincidere i diritti civili (il voto appunto) con gli obblighi fiscali (pagare le tasse). Negli ultimi giorni, una provocazione lanciata da alcuni esponenti del mondo politico, secondo cui chi evade il fisco dovrebbe perdere il diritto di voto, ha alimentato polemiche, reazioni contrastanti e riflessioni più profonde.
La proposta in questione fu avanzata qualche anno fa da Francesco Pizzetti, docente di diritto costituzionale che è stato, fino a giugno 2012, per 7 anni, presidente dell’Autorità garante per la privacy. In un’intervista Pizzetti affermò che “Un cittadino è tale se rispetta le leggi e paga le tasse. Ha presente il vecchio e solido principio liberale del no taxation without representation, per cui non si pagano le tasse, se non si possono eleggere propri rappresentanti? Ecco, può funzionare anche capovolto: se non si pagano le tasse, non si avrà diritto ad eleggere o ad essere eletti…”
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Una provocazione che affonda le radici nella giustizia sociale
L’idea, che per alcuni può sembrare estrema, parte da un principio semplice: chi non contribuisce alle spese dello Stato, può davvero decidere chi deve guidarlo? In altre parole, è legittimo che chi non versa le tasse, privando tutti di risorse per sanità, scuola, trasporti e pensioni, possa avere lo stesso potere decisionale di chi rispetta le regole nella scelta dei governanti?
Per i sostenitori di questa proposta, si tratterebbe di un segnale forte e simbolico contro l’evasione fiscale, ancora oggi uno dei principali mali dell’economia italiana. Secondo le ultime stime del Ministero dell’Economia, ogni anno l’Italia perde oltre 90 miliardi di euro per colpa di chi elude il fisco.
I limiti costituzionali e i rischi democratici
Tuttavia, non mancano le critiche. Il diritto di voto è un principio inviolabile garantito dalla Costituzione italiana, e legarlo al pagamento delle tasse significherebbe aprire una pericolosa crepa nella democrazia. Oggi, l’articolo 48 della Costituzione stabilisce che il voto è personale, uguale, libero e segreto. Qualsiasi restrizione, anche per chi commette reati, deve seguire un percorso legislativo preciso e rispettare i diritti fondamentali.
Inoltre, l’evasione non sempre è palese o dichiarata, ci sono casi gravi e consapevoli, ma anche piccole irregolarità o errori burocratici. Come si stabilirebbe la soglia oltre la quale si perde il diritto di voto? Chi deciderebbe? Sono domande che aprono scenari inquietanti e difficilmente gestibili in una democrazia matura.
Chi evade non vota, precedenti e alternative
Nel mondo, nessuno Stato democratico ha mai collegato il diritto di voto all’onestà fiscale. Tuttavia, esistono norme che premiano i cittadini virtuosi, ad esempio attraverso incentivi fiscali o accesso facilitato a servizi pubblici. Una delle alternative proposte sarebbe quella di creare meccanismi di premialità fiscale, invece di introdurre sanzioni di natura politica o elettorale.
Un’altra strada potrebbe essere quella di rafforzare l’educazione civica e fiscale nelle scuole, per far comprendere alle nuove generazioni il valore del contributo personale al bene comune.
Un dibattito acceso, tra etica e politica
Alla base di tutto, c’è una riflessione più ampia sul concetto di cittadinanza attiva e responsabilità collettiva. La provocazione “chi evade non vota” non è solo una proposta tecnica, bensì è un grido di allarme su una frattura crescente tra chi rispetta le regole e chi ne approfitta.
Ma la soluzione non può essere quella di escludere dal voto, bensì deve essere quella di rafforzare i controlli, semplificare il sistema fiscale, incentivare la legalità. Solo così si può costruire una società più equa, senza sacrificare i principi democratici su cui si fonda.