Mese dopo mese, durante il lavoro la retribuzione del dipendente è tagliata da alcuni prelievi che il datore di lavoro opera in base alle leggi che regolano il lavoro. Alcuni di questi prelievi sono le tasse da pagare. Ed in questo il datore di lavoro funge da sostituto di imposta, mettendo di mezzo tra il Fisco e il lavoratore. Altri prelievi però non sono altro che somme che vengono tolte dalla disponibilità del lavoratore, ma che alla fine appartengono sempre allo stesso lavoratore. Per esempio i contributi INPS che il lavoratore recupererà con la pensione futura o con la disoccupazione. Ma anche le somme accantonate per il TFR fanno parte di questi prelievi. Il Trattamento di Fine Rapporto non è altro che quella tutela economica che il lavoratore riceve in genere alla fine del rapporto di lavoro. In genere dicevamo, perché a volte può essere incassato, anche se non tutto, in anticipo. ù
Chiedi al datore di lavoro il TFR in anticipo, ecco quando non può dirti di no
La badante può chiedere ogni anno al datore di lavoro la liquidazione del 70% del TFR maturato nello stesso anno in cui ricade la richiesta (in genere ogni dicembre). Per la badante così come per tutti gli altri lavoratori del settore domestico, non c’è nulla da giustificare per la richiesta e il datore di lavoro non può esimersi dal liquidarlo. Naturalmente in questi casi il 30% di quanto accantonato resta da liquidare alla fine del rapporto di lavoro. Negli altri settori le regole sono diverse. E si parte da ciò che prevede il Codice Civile all’articolo 2120. Per poter chiedere l’anticipazione, salvo decisioni diverse di ogni singolo CCNL di categoria, il lavoratore può chiedere l’anticipo del TFR una sola volta durante il rapporto di lavoro con uno stesso datore. E può recuperare il 70% di quanto versato lasciando il 30% al termine del rapporto di lavoro. Ma solo se ha trascorso sotto assunzione, già 8 anni di lavoro con lo stesso datore.
Il TFR deve sempre essere liquidato se le motivazioni sono provate
Le regole prima descritte sono abbastanza rigide. Soprattutto considerando che l’anticipo deve essere opportunamente motivato ed in base a ciò che c’è scritto nell’articolo del Codice Civile citato prima. Il TFR non si perde mai, perché al termine del rapporto di lavoro il datore deve liquidarlo secondo le tempistiche prestabilite e variabili in base al settore lavorativo. Ed a prescindere dalla motivazione dell’interruzione del rapporto di lavoro. Quindi, anche in caso di dimissioni volontarie o di licenziamento per motivi disciplinari. L’anticipo però può essere concesso, in base alle regole prima esposte, solo se il dipendente allega alla richiesta le giustificazioni documentali. Parliamo di documenti che comprovano una spesa improvvisa che deve sostenere il lavoratore. Magari per l’acquisto della casa di abitazione del suo nucleo familiare o di un figlio (serve l’atto di compravendita, oppure il compromesso). O ancora, per una spesa sanitaria ingente come possono essere terapie o interventi costosi (basti pensare al dentista, per il quale occorre allegare fatture, preventivi e impegnative ASL che attestino la necessità dell’intervento o della terapia).
Ecco quando il datore di lavoro può dire di no
Il datore di lavoro non può esimersi dal pagare il TFR, e anche di versare l’anticipo. A meno che non si trovi in situazioni di difficoltà. Ma in questo caso, come il lavoratore deve produrre le prove delle spese che lo spingono a dover chiedere l’anticipazione, così il datore di lavoro deve produrre le prove delle difficoltà che lo portano a non esaudire la richiesta del dipendente.