I lavoratori del pubblico impiego hanno diritto al TFS nel momento in cui cessa il rapporto di lavoro. Il diritto, però, c’è anche se dopo il termine del contratto ne scatta uno nuovo, senza soluzione di continuità. A stabilirlo la Corte di Cassazione con la recentissima sentenza numero 2829 del 2021.
Il caso: TFS statale
La Corte Suprema è stata chiamata a pronunciarsi sul caso di una lavoratrice dipendente del Ministero Della Giustizia con contratto a termine, assunta il 2 dicembre 2000. Il contratto, prorogato più volte fino al 28 dicembre 2008 quando la lavoratrice aveva rassegnato le dimissioni per sottoscrivere un contratto a tempo indeterminato a decorrere dal 29 dicembre 2008.
Alla lavoratrice l’INPS non aveva voluto erogare il TFS maturato al 28 dicembre 2008 poichè era stata riassunta lo stesso giorno delle dimissioni con contratto indeterminato. Per l’INPS configurandosi la continuità contributiva, quindi, non era possibile liquidare il TFS.
Per la lavoratrice, infatti, non erano cambiate mansioni, sede e datore di lavoro e visto che il TFr/TFS nel pubblico impiego non sono erogati dal datore di lavoro ma dall’INPS, secondo l’Istituto l’erogazione non era dovuta.
Secondo l’impostazione giurisprudenziale, invece, il TFR o TFS al dipendente pubblico spetta in ogni caso in cui il rapporto di lavoro subordinato cessa.
Ai fini dell’esigibilità del trattamento di fine rapporto, quindi, ha rilievo solo e soltanto la cessazione dal servizio.
IL TFR o TFS, quindi, va corrisposto ai lavoratori anche laddove al termine di un contratto ne venga sottoscritto un altro perchè il servizio è pur sempre cessato, per poi riprendere.
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