Si può fare una classifica delle migliori pensioni in Italia? Le pensioni non sono squadre di calcio. Non sono la Juventus, l’Inter, il Milan. E non sono tennisti, non si può certo stilare una classifica come si fa con Sinner, o con una qualsiasi disciplina sportiva.
Però dal punto di vista tecnico, non si può non giudicare misure di pensionamento in base ai loro requisiti, a come sono state utilizzate e dal numero di beneficiari. Ecco quindi che azzardiamo una classifica delle migliori misure introdotte in questi anni a partire da quelle in vigore prima della riforma Fornero o dopo.
La quota 96, come ha funzionato e perché è quella che fa tanta nostalgia
Una misura unica nel suo genere, perché capace di essere contemporaneamente alternativa alla pensione di vecchiaia ordinaria e alle pensioni di anzianità o anticipate come si chiamano oggi.
La pensione di quota 96 è un qualcosa di unico nel suo genere.
Perché consentiva di andare in pensione già a 60 anni, con diversi anni di età in meno rispetto all’età pensionabile della pensione di vecchiaia.
Ma con 35 anni di contributi. Ed anche in questo caso, diversi anni in meno rispetto ai contributi necessari per le vecchie pensioni di anzianità.
Fosse attiva ancora oggi una pensione che consente di andare a riposo con 60 anni di età e con 35 anni di contributi, diventerebbe quasi equidistante come anticipo, dai 67 anni di età delle pensioni di vecchiaia o dai 42,10 anni di contributi delle pensioni anticipate.
La quota 100 e come funzionava la pensione anticipata
La quota 96 è una misura che permette, sommando età anagrafica ed età contributiva, di andare in pensione partendo da 60 anni per la prima e 35 anni per la seconda. E arrivando a 96 come somma. C’è un’altra misura che ha quota nel nome e che ha lasciato nostalgici. Parliamo della quota 100. Una misura che permetteva fino al 2021 di andare in pensione con 62 anni di età e 38 anni di contributi.
Senza vincoli di platea, senza limiti di importo e soprattutto senza penalizzazioni di assegno. La misura che la Lega varò come inizio di un grande progetto di riforma del sistema, che avrebbe dovuto portare a casa anche la quota 41 per tutti, è stata cessata e sostituita da una misura chiamata quota 102 che però portò a 64 anni di età quella pensionabile.
E poi dalla attuale quota 103, che pur tornando ai 62 anni come limite minimo per l’uscita, ha innalzato a 41 anni la soglia dei contributi e quindi è diventata meno appetibile. A maggior ragione se si pensa che nel frattempo alla quota 103 è stato imposto il calcolo contributivo e quindi penalizzante.
Lo scivolo aziendale dei contratti di espansione
Un’altra misura ormai cessata ma che è stata molto interessante quando ha funzionato è lo scivolo aziendale dei contratti di espansione. Che consentiva di andare in pensione prima con accordo tra azienda e sindacati, a chi si trovava a 5 anni dalla pensione di vecchiaia ordinaria o dalla pensione anticipata ordinaria.
Una possibilità di prendere dall’INPS una sorta di assegno di prepensionamento pari alla pensione maturata, con copertura figurativa dei periodi mancanti a raggiungere il massimo contributivo previsto e con l’azienda che finanzia l’intera operazione sfruttando anche la quota Naspi spettante teoricamente al lavoratore.