Molti contribuenti sono convinti che avere un conto Revolut permetta di occultare soldi al Fisco italiano. Diciamo subito che non è vero che avere un conto Revolut mette automaticamente al riparo da pignoramenti o controlli fiscali. Il conto estero (e anche Revolut) è sottoposto a controlli dal Fisco come tutti gli altri conti correnti. Inoltre va indicato il possesso del conto estero nella dichiarazione dei redditi, nel quadro RW del modello Redditi o nel quadro W del modello 730. Ma andiamo con ordine.
Con l’aumento dei conti online e delle app finanziarie, sempre più italiani utilizzano strumenti come Revolut per gestire i propri risparmi, fare acquisti o ricevere pagamenti. Ma una domanda sorge spontanea: il conto Revolut può essere controllato dal Fisco italiano? La risposta è sì.
Cos’è Revolut e come funziona
Revolut è un conto digitale con IBAN, disponibile tramite app, che consente di inviare denaro, riceverlo, pagare online e convertire valute. Non si tratta di una banca italiana e proprio per questo molti sono convinti che l’eventuale conto sia invisibile al Fisco. A gestire Revolut una è una società con licenza bancaria europea registrata in Lituania. Questo significa soltanto che i fondi sono tutelati come in una banca tradizionale e che, in teoria, il conto ha una tracciabilità paragonabile a quella di altri istituti esteri.
E il Fisco può controllare i conti esteri. Revolut rientra a pieno titolo in questa categoria, anche se è un conto online. L’Italia ha aderito al Common Reporting Standard (CRS), un sistema internazionale di scambio di informazioni tra Stati sui conti finanziari. In pratica, le autorità fiscali dei Paesi membri, tra cui anche la Lituania, condividono dati sui contribuenti.
Di conseguenza, l’Agenzia delle Entrate può ricevere informazioni sui movimenti e saldi dei conti Revolut intestati a residenti italiani, anche se il conto è gestito tramite un’app straniera.
Il conto Revolut va dichiarato
Chi ha un conto Revolut e risiede fiscalmente in Italia, è tenuto a dichiararlo nel quadro RW del Modello Redditi o nel quadro W del modello 730 ai fini del monitoraggio fiscale così come qualsiasi altro conto estero se il saldo medio annuo supera i 5.000 euro o se nel corso dell’anno si supera la soglia di 15.000 euro anche solo per pochi giorni.
Inoltre, sono soggetti all’imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero (IVAFE) tutti i conti esteri, inclusi quelli gestiti tramite Revolut.
Chi non dichiara il conto Revolut rischia sanzioni per omessa dichiarazione o infedele compilazione del quadro RW o W. Le multe possono essere salate e sono calcolate sul saldo non dichiarato. In caso di mancato pagamento dell’IVAFE, si sommano ulteriori sanzioni.
Come tutte le banche (anche se è gestita online) anche Revolut è tenuta ad applicare le normative antiriciclaggio. Questo vuol dire che, in caso di movimenti sospetti, la piattaforma può segnalare le operazioni alle autorità competenti, e bloccare o congelare i fondi in attesa di verifiche. Va ricordato a chi cerca di “nascondere” soldi al Fisco usando conti esteri, che in questo caso la tracciabilità è sempre più alta.
Chiariamo però, che utilizzare Revolut è perfettamente legale e spesso conveniente, ma il fatto che si tratti di una banca online e di natura estera non esonera dagli obblighi fiscali. Il conto va dichiarato, monitorato e trattato come qualsiasi altra attività finanziaria estera.
Il conto Revolut può essere anche pignorato
Per chi ha debiti con il Fisco è bene sapere che l’Agenzia delle Entrate può aggredire anche il conto Revolut. Nel caso in cui venga emesso un pignoramento:
- se il conto Revolut è collegato a un IBAN europeo (tipo LT o IE), l’Agenzia delle Entrate (ma anche il creditore privato) può agire tramite la procedura europea di blocco dei conti;
- in alternativa, può procedere tramite collaborazione internazionale tra autorità, anche se la cosa può richiedere più tempo;
- se invece il conto è utilizzato abitualmente in Italia (app, transazioni frequenti, carta di debito), è più facile tracciarlo e pignorarlo anche con l’aiuto della banca stessa.
Nascondere soldi al Fisco nei paradisi fiscali, quali sono?
Nonostante i controlli sempre più stringenti e gli accordi internazionali sullo scambio di informazioni, alcuni Paesi continuano ad attirare l’interesse di chi vuole sfuggire al Fisco italiano. Si tratta dei cosiddetti paradisi fiscali che offrono vantaggi (come bassa o nulla tassazione, segretezza bancaria e scarsa cooperazione con le autorità internazionali).
Tra i più noti figurano Svizzera, Lussemburgo, Liechtenstein, Monaco, Panama, Isole Cayman, Dubai, ma anche alcuni Stati Usa come il Delaware o il Nevada, che offrono strutture societarie opache. Tuttavia, l’epoca dell’impunità è finita: grazie al Common Reporting Standard e alle nuove tecnologie di tracciamento, nascondere capitali all’estero è diventato molto più rischioso, e chi lo fa può andare incontro ad accertamenti fiscali, sanzioni pesanti e procedimenti penali.
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