Andare in pensione nel 2023 ha di nuovo l’età dei 62 anni come parametro anagrafico centrale. E non era una cosa ipotizzabile, almeno fino a qualche mese fa. Infatti non era una certezza il fatto che nel pacchetto pensioni del Governo Meloni entrasse una misura che in quanto a età anagrafica di uscita, riportasse il tetto di una anticipata a 62 anni di età. La recente storia delle pensioni per quotisti infatti aveva innalzato il tetto di due anni. Ma ciò che conta è che una misura che permette l’uscita a 62 anni torna ad essere fruibile. Ma con un fattore da non sottovalutare per capire davvero se si tratta di una misura fruibile da una grande platea di lavoratori. Un limite esiste, che potrebbe però essere superato lascando stare la novità e puntando a farsi dare una mano dall’azienda per cui si lavora.
Tante le variabili 2023 ed in pensione a 62 anni, con 20 o con 37,10 di contributi
La novità si chiama quota 103. La misura consente di lasciare il lavoro una volta raggiunti i 62 anni di età ed insieme, una volta completati i 41 anni di contributi versati. Significa che fermi i due vincoli minimi, tutte le altre combinazioni superiori danno diritto al trattamento anticipato nel 2023. Ma 41 anni di contributi sono una dote molto importante e spesso non raggiungibile per molti lavoratori. Ecco quindi che a 62 anni sembra essere più semplice, sulla carta, optare per le alternative offerte dal sistema. Una di queste è il contratto di espansione. Si tratta di una misura che però tira dentro il datore di lavoro, che deve essere il soggetto che richiede la misura e che finanzia la pensione al posto dell’INPS che resta solo l’ente che materialmente girerà i soldi nei conti correnti dei lavoratori.
In pensione a 62 anni, con 20 o con 37,10 di contributi solo se dentro il meccanismo entra il datore di lavoro
Non ci sono paragoni da fare tra la quota 103 ed il contratto di espansione. Numeri alla mano, per età e contribuzione, meglio la seconda misura. Per la quota 103 62 anni di età è la soglia anagrafica minima da centrare. Invece, per il contratto di espansione 62 anni è la soglia minima solo per chi ha pochi anni di contributi. Per chi ne ha 37,10 o più, l’uscita è indipendente da limiti anagrafici. Infatti la misura consente ai lavoratori che sono in servizio presso datori di lavoro con almeno 50 addetti, di lasciare il lavoro quando si arriva a 5 anni o dalla pensione di vecchiaia o dalla pensione anticipata. Ed in quest’ultimo caso, tutti gli anni di lavoro in meno rispetto ai 42,10 della pensione anticipata ordinaria, vengono pure coperti dal contribuzione figurativa.
Perché una azienda dovrebbe pagare la pensione al lavoratore pur di portarlo fuori
Una domanda che molti si pongono sul contratto di espansione è il motivo per cui una azienda dovrebbe attivarlo. Perché un datore di lavoro dovrebbe sobbarcarsi l’onere di pagare un assegno pari alla pensione maturata al suo dipendente, semplicemente portandolo fuori dall’azienda? I motivi sono molteplici. Innanzi tutto l’azienda potrebbe aver deciso di migliorare la propria attività produttiva, avvicinandosi all’innovazione tecnologica che un vecchio lavoratore ormai vicino alla pensione (a 5 anni), è meno idoneo a seguire rispetto ad un nuovo e giovane addetto. Inoltre lo stipendio da pagare ad un neo entrato è senza dubbio inferiore a quello da pagare ad un vecchio lavoratore con scatti e progressioni di carriera ormai definiti. Infine, c’è il meccanismo che favorisce l’azienda. Infatti il datore di lavoro potrà sfruttare inizialmente, il corrispettivo NASPI che sarebbe toccato al lavoratore per due anni di fila. La NASPI passerebbe dal lavoratore al datore di lavoro che la utilizzerebbe per coprire i primi mesi di assegno di prepensionamento. E poi perché a fronte dei licenziamenti, l’azienda ha l’obbligo di sostituire ogni 3 pensionati, con un nuovo addetto. Significa ridurre personale ove sia necessario naturalmente.
Il passaggio ministeriale e sindacale per i contratti di espansione
Per i lavoratori che si trovano a 62 anni di età e quindi a 5 anni dai 67 della quiescenza di vecchiaia, il contratto di espansione è migliore rispetto alla quota 103. Basta infatti avere una carriera di almeno 20 anni di lavoro e non i 41 anni previsti dalla quota 103. Stesso discorso per chi anziché arrivare a 41 anni di carriera potrà lasciare il lavoro con 37,10 anni di contributi (le donne con 36,10), e senza dover arrivare necessariamente a 62 anni di età. Resta il fatto che deve essere l’azienda a chiedere l’attivazione di questo incentivo al prepensionamento. Bisogna trovare accordo coi sindacati con un piano di assunzioni e un piano di riorganizzazione aziendale predefinito. I lavoratori interessati dovranno dare il loro benestare a questa uscita anticipata, perché non sono obbligati ad accettare naturalmente.