Come promesso dal Governo Meloni anche l’Opzione donna sarà prorogata per il prossimo anno. Ma con qualche modifica. L’età di accesso rimane di 58 anni ma solo per le donne che hanno avuto due o più figli, per le altre sale a 59 anni in presenza di un figlio e a 60 anni per le donne che non sono diventate madri.
E c’è da supporre che queste siano le età per le lavoratrici dipendenti e che, quindi, per le autonome il tutto venga aumentato di un anno: 59 anni con 2 figli, 60 anni con 1 figlio e 61 anni per chi non ne ha avuti.
L’opzione donna diventa discriminante?
A questo punto viene da chiedersi se una misura pensionistica così strutturata possa o no essere considerata discriminante. Per una donna avere figli o meno può essere una scelta di vita ma delle volte può essere anche una non scelta, un dolore che, poi, si deve pagare anche a livello pensionistico.
Molte donne che non possono avere figli e, a causa della burocrazia non riescono neanche ad adottarli, vivono questa mancanza in maniera molto traumatica. E imporre una penalizzazione sull’accesso alla pensione per una cosa non voluta appare essere una discriminazione.
E’ pur vero che chi si barcamena tra lavoro e crescita dei figli sicuramente passa degli anni non certo facili, è pur vero che lavorare per almeno 7 mesi in gravidanza non è una delle cose più semplici del mondo. Ma ricordiamo che la donna in stato di gravidanza è tutelata. Ed è tutelato anche prima e dopo il parto dal congedo obbligatorio per maternità che è coperto da contribuzione figurativa.
E allora perchè non riconoscere uno sconto anche ai padri? In molti casi, a parte il periodo della gravidanza, vivono anche loro l’accudimento dei figli soprattutto nelle coppie più giovani.
Sicuramente quella di vincolare l’età di uscita per l’opzione donna all’avere avuto o meno figli non è stata una scelta