La pensione per un lavoratore oggi è un argomento assai complicato da capire, anche perché con il sistema contributivo a volte non bastano età e contributi per poter accedere alla meritata quiescenza. Ecco che il nuovo Governo è chiamato ad operare, cercando di migliorare la situazione e permettendo a più persone rispetto ad oggi, di accedere ad una pensione prima di arrivare a 67 o addirittura a 71 anni.
Le pensioni oggi, ecco perché qualcosa va corretto
Negli anni il sistema previdenziale italiano è stato oggetto di una serie di riforme. Ed un’altra sembra adesso necessaria. Le epoche cambiano, l’economia è volubile ed è inevitabile che le pensioni e le regole di pensionamento vadano corrette. Fino ai primi anni 90, l’economia italiana era ancora attiva e di molto. A tal punto che le pensioni avevano dei canali molto agevolati. Bastavano 15 anni di lavoro, una età pari a 55 anni per le donne, 60 anni per gli uomini, 35 anni di contributi senza vincoli anagrafici e strumenti quali le baby pensioni con pensionamenti a 14 anni e 6 mesi circa di contribuzione versata.
Le ultime riforme delle pensioni
Ma nel 1992 entrò la riforma Amato, con l’età pensionabile che gradualmente fu issata sino ad arrivare alle soglie odierne. Tanto è vero che ancora oggi vigono le deroghe Amato che consentono a qualcuno di godere di un pensionamento con 15 anni di contributi. Significa che all’epoca i requisiti previdenziali vennero inaspriti. Poi nel 1996 si passò al cambio delle regole di calcolo della pensione, con la riforma Dini. Basta pensioni calcolate sulle ultime buste paga e via libera al calcolo contributivo. In ogni caso, due riforme che miravano a contenere la spesa pubblica delle pensioni.
Perché si è arrivati alle regole odierne
Contenere la spesa pubblica delle pensioni è da sempre il motivo scatenante dele riforme pensionistiche. Con la giustificazione di una stima di vita in crescendo per gli italiani, si è deciso sempre di inasprire i requisiti pensionistici. Prima, nel 1992 come detto, eliminando le pensioni troppo in giovane età. E poi nel 1996 correggendo le regole di calcolo e basandole su quanto i lavoratori effettivamente versavano in quella specie di salvadanaio che è il montante contributivo. Con la riforma del 2012, la famigerata Legge Fornero, tutto ancora più drastico, con le pensioni per chi ha iniziato a lavorare dal 1996, che furono inasprite anche come requisiti extra da centrare. Per esempio un lavoratore che a 67 anni di età, pur avendo 20 anni di contribuzione, non ha una pensione oggi pari a 703 euro al mese (1,5 volte l’assegno sociale) in pensione non ci va. Deve aspettare i 71 anni.
Cosa pensano di fare oggi al Governo
Ma oggi, la grave crisi economica e le difficoltà a lavorare, a trovare lavoro duraturo, o a godere di stipendi adeguati perle future pensioni, sono fattori che potrebbero spingere ad accelerare su una nuova riforma. A tal punto che già si parla di una nuova quota 41. Non per tutti però, ma solo a chi ha compiuto almeno 61 anni di età. E proprio 61 anni di età potrebbe essere la grande novità di una nuova ondata di pensioni a quote. Infatti potrebbe rinascere una nuova quota 100, che consentirebbe con la flessibilità di andare in pensione a 61 anni con 29 anni di contributi, a 62 anni con 38 anni di contributi e così via. Le soglie minime sarebbero 61 anni di età e 35 anni di contributi.