Anche i lavoratori domestici hanno diritto alla pensione una volta raggiunti determinati requisiti a seconda della misura utilizzata per la propria pensione.
Nel settore domestico solo da pochi anni tutti il sistema è stato regolarizzato da un Contratto collettivo. Ecco perché per la stragrande maggioranza dei lavoratori domestici la pensione che si percepirà sarà quella contributiva dal momento che quasi tutti i lavoratori di questo particolare settore non hanno una anzianità antecedente il 1996.
Pensione contributiva significa pensione calcolata interamente sui contributi che i datori di lavoro versano trimestralmente all’Inps. E dal momento che questi contributi sono calmierati allo stipendio erogato, non sono di importo così elevato da dare una pensione cospicua alle lavoratrici. Resta il fatto che tra trattamento minimo, integrazioni e incrementi, la pensione minima Inps non può scendere sotto una determinata soglia (per il 2020 per esempio era di circa 515 euro al mese.
Pensione di vecchiaia ordinaria e contributiva
Per i domestici c’è la pensione di vecchiaia ordinaria che spetta all’età di 67 anni sia per gli uomini che per le donne e 20 anni di contributi versati. L’età può ridursi al presentarsi di determinate condizioni come per esempio è il caso degli invalidi con almeno l’80% di invalidità pensionabile che possono godere dell’uscita a 55 anni per le donne e 60 per gli uomini.
Oppure per i non vedenti che possono godere di uscite a 50 e 55 anni di età sempre rispettivamente per donne e uomini (in questo caso di contributi bastano 10 anni). Anche i 20 anni di contribuzione minima possono essere ridotti se si rientra in alcune deroghe che prevedono 15 anni di versamenti (deroga Amato o opzione Dini), ma per quanto detto in premessa sull’anzianità di servizio dei domestici, difficilmente ci sono soggetti che vi rientrano).
La pensione di vecchiaia contributiva invece si centra a 64 anni di età anche nel 2021, ma oltre ad aver iniziato a versare il primo dei 20 anni di contributi necessari prima del 1° gennaio 1996, occorre che l’assegno di pensione liquidato sia superiore a 1,5 volte l’assegno sociale, cioè circa 1.000 euro, soglia difficilmente centrabile visti gli importi dei contributi che i datori di lavoro domestici versano.
Con soli 5 anni di contributi si può centrare la pensione di vecchiaia a 71 anni di età. Senza contributi versati non esiste misura previdenziale ma c’è l’assegno sociale che si centra a 67 anni di età, ma che è una prestazione assistenziale basata su reddito e non esportabile all’estero.
I trattamenti di invalidità
Pensioni previdenziali sono anche l’assegno di invalidità e la pensione di inabilità. Per quanto riguarda la prima misura, va ricordato che invalido è considerato colui che ha una riduzione della capacità di lavoro permanente pari ad almeno il 33%. L’infermità può essere sia fisica che mentale ma occorre ricordare che l’assegno non è definitivo ma viene erogato in maniera temporanea.
Ogni tre anni occorre passare una visita che viene considerata di revisione. Solo dopo tre riconoscimenti consecutivi la prestazione diventa definitiva.
L’assegno d’invalidità è suscettibile di taglio nel caso in cui il lavoratore continua a esercitare al sua attività e si riduce del 25% per chi ha reddito da lavoro superiore a 4 volte il trattamento minimo Inps e del 50% se ha redditi ancora superiori.
Per quanto concerne l’assegno di inabilità invece, la misura riguarda coloro che a causa della disabilità si trovano a non poter più svolgere ed in misura permanente, l’attività di lavoro. La pensione di inabilità come importo è pari al trattamento effettivamente maturato sulla base della contribuzione versata.
Per entrambe le misure occorre avere almeno 5 anni di contributi versati, ma 3 di questi 5 devono essere stati versati nei 5 anni che precedono la data di presentazione della domanda di pensione.
Per tutte le misure, essendo il calcolo contributivo quello spettante perché le misure riguardano lavoratori con il primo accredito successivo al 31 dicembre 1995, si ricorda che la pensione viene liquidata sul montante dei contributi versati, rivalutati al tasso di inflazione anno per anno e passati per i coefficienti di trasformazione. Questi sono tanto meno favorevoli al pensionato quanto prima si esce dal lavoro.
Tutte le altre misure oggi vigenti, qualcuna, come l’Ape sociale, destinate anche nello specifico alle badanti, prevedono periodi di contribuzione piuttosto lunghi, che vanno dai 30 anni per i disoccupati che rientrano nel perimetro dell’Ape sociale ai 42,10 per la pensione anticipata per gli uomini. Periodi di contribuzione lunghi che mal si sposano con l’attività del tipico lavoratore domestico.