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La riforma delle pensioni da 59 a 61 anni, ecco come potrebbe funzionare

Si può arrivare ad una riforma delle pensioni da 59 a 60 o 61 anni, ma ecco come i lavoratori verrebbero sonoramente penalizzati.

Anche le elezioni europee sono passate. Le attività del governo italiano tornano ad essere piene dopo l’inevitabile passaggio dalla campagna elettorale che come sempre ha tirato dentro anche il capitolo pensioni nelle promesse elettorali. A dire il vero, essendo le elezioni dell’8 e 9 giugno quelle utili al nuovo Parlamento Europeo, le questioni di casa nostra, pensioni in primis, non sono state al centro del dibattito. Resta il fatto che la UE, anche dopo queste nuove elezioni, difficilmente asseconderà eventuali provvedimenti di pensionamento anticipato del governo italiano. Quindi la riforma delle pensioni continua ad essere una specie di campo minato. Bisognerà varare dei provvedimenti che non saranno come la gente si aspettava. Ma che potrebbero comunque tornare utili ad alleggerire i duri requisiti della dura legge Fornero.

La riforma delle pensioni da 59 a 61 anni, ecco come potrebbe funzionare

Chi deve mettere mano al sistema previdenziale italiano e deve riformare il sistema, deve rispondere a queste diverse esigenze:

  • servono misure di pensionamento meno rigide rispetto a quelle imposte dall’attuale regime Fornero;
  • servono misure di pensionamento che costino il meno possibile per le casse dello Stato.

Due diverse esigenze, che a prima vista vanno su binari diversi e soprattutto nel senso di marcia diverso. I contribuenti italiani si sentono vessati dalle attuali regole pensionistiche. Non c’è contribuente che consideri il sistema pensioni italiano come giusto. C’è chi lamenta requisiti troppo alti da centrare per arrivare alle pensioni anticipate. E chi invece lamenta età troppo alte anche per andare in quiescenza con le normali pensioni di vecchiaia. E chi invece in pensione riesce ad andarci, lamenta regole di calcolo penalizzanti e spesso non sufficienti a dare diritto a trattamenti dignitosi e sufficienti per vivere bene.

Riforma delle pensioni con tagli di spesa pubblica


Ma se queste lamentele sono quelle dei contribuenti, ce ne sono altre che partono dalle istituzioni. Il sistema italiano costa troppo per le casse dello Stato. Perché anche se elevata, l’età pensionabile dei 67 anni non è quella che permette alla maggior parte dei lavoratori di andare in pensione. Ci sono numerose misure di pensionamento anticipato che di fatto abbassano l’età media di uscita a circa 62/63 anni. Troppo presto per i dettami della UE. E soprattutto, troppo onerose per le casse dello Stato con le regole del sistema contributivo che dovrebbero essere estese a tutti i lavoratori. Diversi punti di vista che messi insieme producono l’empasse che blocca di fatto le ipotesi di riforma.

Da quota 41 per tutti ad opzione per tutti, ecco alcune soluzioni

Riforma delle pensioni ferma al palo. E per quanto detto nel paragrafo precedente, non poteva essere diversamente. Per questo ecco che le uniche possibilità di riformare il sistema passano da vie che rispondano alle reciproche esigenze dei contribuenti e dello Stato. Tradotto in termini pratici, servono misure che consentano il pensionamento in anticipo rispetto ai requisiti anagrafici e contributivi di oggi. ma passando da un calcolo della pensione che produca nel lungo termine dei risparmi per le casse dello Stato. Parlando in termini semplici, servono misure che consentano ad un lavoratore di uscire prima dal lavoro ma rimettendoci tanti soldi in modo tale che non tutti i contribuenti decidano di andare in quiescenza in anticipo. Detto da tempo di una ipotetica quota 41 per tutti ma contributiva, ecco che ci sarebbe anche la via di far diventare l’opzione donna una misura anche per uomini. Per esempio ampliando anche agli uomini la facoltà di uscire a 59, 60 o 61 anni con 35 anni di contributi ma con un taglio di assegno di oltre il 35%. Quanti sarebbero disposti ad andare in pensione prima, perdendo su una pensione teorica di 2.000 euro al mese, oltre 700 euro?

La riforma delle pensioni, ecco l’unica via percorribile

Chi considera il calcolo contributivo sempre meno penalizzante ha ragione. Infatti le regole stringenti che da due anni a questa parte hanno interessato l’opzione donna sono lì a dimostrare come il semplice calcolo contributivo non è un deterrente che la politica considera valido per varare misure low cost per le casse statali. Essendo sempre meno lunghe le carriere prima del 1996 per chi deve andare in pensione, è evidente che la penalizzazione proveniente dal calcolo contributivo vale sempre di meno. E allora ecco che una ipotetica opzione per tutti potrebbe essere varata con un taglio del 3,5% per ogni anno di anticipo rispetto ai 67 anni. Chi esce a 59 anni, subirebbe così il 28% di taglio lineare di assegno. Chi invece uscirebbe a 61 anni, subirebbe un taglio del 21% e così via. Lasciando in campo anche il calcolo contributivo naturalmente.