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Lavoro domestico e  maternità: cosa spetta per colf e badanti

Le colf e le badanti, le baby sitter e le governanti, sono a tutti gli effetti lavoratrici dipendenti è in quanto tali, hanno diritti che poche sanno di poter sfruttare. Uno di questo è senza dubbio la maternità indennizzata. Con il passare degli anni il lavoro della domestica o della badante, ha drasticamente visto ridursi l’età media delle lavoratrici. Sono sempre più giovani a scegliere questo lavoro che inizialmente era appannaggio esclusivamente di lavoratrici over 50.

Una donna in età fertile può restare in attesa mentre è regolarmente assunta come badante piuttosto che come colf. E la legge in Italia le tutela dal punto di vista reddituale. L’istituto è la maternità Inps. Ecco come si sfrutta e cosa occorre sapere.

Badante e maternità, quali tutele?

Come per qualsiasi altra lavoratrice dipendente la legge italiana fa divieto al datore di lavoro di impiegare la propria dipendente se in attesa,  in qualsiasi attività lavorativa. Un divieto che vale per 5 mesi, due prima del parto e 3 dopo il parto. Se il proprio ginecologo, naturalmente convenzionato con le Asl certifica lo stato di salute ottimale della lavoratrice, l’attività lavorativa può proseguire anche fino ad un mese dal parto presunto, con la sospensione che slitta diventando di 4 mesi dopo il parto.

Non utilizzare la propria lavoratrice dipendente durante questi mesi esonera il datore di lavoro, che nel lavoro domestico non è sostituto di imposta, dal pagare lo stipendio e pure la relativa contribuzione previdenziale.

La lavoratrice però non resta senza tutele, cioè non resta senza reddito perché stipendio e contribuzione vengono sostituite dalle indennità di maternità dell’Inps.

Maternità pagata dall’Inps

Il pagamento dell’indennità di maternità è a carico dell’Inps. Infatti la lavoratrice in dolce attesa deve inviare domanda all’Inps. Alla lavoratrice come indennità di maternità spetta l’80% di stipendio che però è più basso di quello effettivamente percepito durante l’attività lavorativa. Infatti non è la retribuzione effettiva quella di riferimento, bensì la retribuzione convenzionale.

Se per la quasi generalità delle lavoratrici subordinate, la maternità si percepisce senza particolari requisiti, nel lavoro domestico per poterla richiedere occorre che la lavoratrice abbia 52 contributi settimanali nei 24 mesi precedenti la data di inizio del congedo di maternità. In alternativa a questo requisito sono necessari 26 contributi settimanali nei 12 mesi precedenti l’inizio del congedo di maternità.   

Senza questi requisiti l’indennità di maternità Inps non è erogata e per la lavoratrice non resta che virare verso l’assegno di maternità per lavori atipici e discontinui o verso l’assegno di maternità dei Comuni.