Un caso di cronaca che sta tenendo banco da diverse settimane è quello di Paragon. Per i meno informati, parliamo dello spyware Graphite, un software ad alta tecnologia, capace di insinuarsi in uno smartphone e che concede all’operatore che lo ha in uso, di spiare qualsiasi cosa che c’è su quel determinato device infettato. Dalle password alle applicazioni e perfino ai messaggi inviati compresi quelli WhatsApp e Signal. Un software balzato alle cronache perché sono stati molti i soggetti spiati da uno strumento assai particolare e di tecnologia avanzata. Un giornalista, alcuni esponenti di alcune ONG e così via dicendo. Con feroci polemiche circa le autorità che possono utilizzare un autentico software spia. Ma partendo da questa storia, entrando nel nostro campo, possiamo dire, come anche noi titoliamo, che non serve Paragon al Fisco Italiano. Perché il Fisco ha la libertà ed il potere di spiare per esempio i conti correnti dei cittadini e contribuenti. Ma di cosa si tratta davvero? Cosa può spiare il Fisco, come può farlo e come un contribuente può difendersi?
Non serve Paragon al Fisco Italiano: ecco come spiano i conti correnti, ma una soluzione c’è
L’Agenzia delle Entrate, cioè il Fisco Italiano può a sua discrezione e piacimento, spiare un conto corrente di un contribuente. E non serve autorizzazione. Il Fisco Italiano al fine di verificare la correttezza dei dati indicati nella dichiarazione dei redditi e per confermare l’effettivo espletamento degli adempimenti e degli obblighi fiscali di un contribuente può spiare i conti correnti di quest’ultimo. Non servono autorizzazioni di una Procura o di un Tribunale. Anche perché i dati dei conti correnti sono a disposizione del Fisco. Banche, Poste e in genere tutti gli istituti di credito forniscono perché ne sono costretti, tutti i dati dei conti correnti dei contribuenti all’Agenzia delle Entrate. Il Fisco Italiano per legge ha pieno accesso ai dati dei conti correnti, cioè all’Anagrafe Tributaria, o più nello specifico all’Anagrafe dei Rapporti Finanziari.
Accertamenti fiscali tirano dentro anche i conti correnti
Il controllo del Fisco si può spingere anche fino a 5 anni indietro quando c’è bisogno di approfondire il campo delle analisi su un determinato contribuente su cui magari, ci sono dubbi sulla correttezza dei dati inseriti nella sua dichiarazione dei redditi. Anzi nei casi di omesse dichiarazioni, il Fisco può arrivare a ritroso a controllare fino a 7 anni indietro. Ciò che può mettere sotto la lente di ingrandimento il nostro Fisco sono il saldo di un conto corrente, i bonifici effettuati e ricevuti in un determinato periodo di tempo, carte di credito, carte di debito, carte prepagate e può sapere perfino l’eventuale detenzione di una cassetta di sicurezza.
Gli accertamenti e le pezze giustificative
Statistiche alla mano, pare che siano proprio in funzione dei controlli sull’Anagrafe Tributaria che scattano la stragrande maggioranza degli accertamenti fiscali a carico dei contribuenti. Difendersi dal fatto che il proprio conto corrente può essere spiato dal Fisco è impossibile. Proprio perché la legge ammette questo potere dell’Agenzia delle Entrate, il contribuente non ha minimamente la facoltà di opporsi. L’unica via è dopo l’accertamento, quando il contribuente può, se ne ha, produrre le documentazioni che giustificano le discordanze tra dichiarazioni dei redditi e dotazioni bancarie, che poi sono la causa dell’accertamento stesso.