Una protesta probabilmente fuori luogo, con un taglio politico e nulla più è quella dei pensionati con a capo la SPI CGIL. Sul banco degli imputati, l’aumento di soli 3 euro delle pensioni minime che da gennaio il governo ha deciso di assegnare.
Pochi 3 euro naturalmente, e questa è la verità. Ma in piazza come vedremo si parla di inflazione galoppante, di un aumento del costo della vita elevato che però non ha risvolti nella realtà.
Tanto è vero che l’aumento di 3 euro è frutto di un incremento extra che il governo ha deciso di dare ai pensionati al minimo. Altrimenti sarebbe stato ancora di meno.
Anzi, se guardiamo al passato recente, a governi di sinistra, gialloverdi,, giallorossi e chi più ne ha più ne metta, si noterà che probabilmente ciò che ha fatto il governo Meloni non dovrebbe finire contestato dai pensionati in piazza, anzi.
Saremo considerati fuori luogo e probabilmente saremmo accusati di essere tra i pochi pro governo. Ma i numeri non mentono mai. E adesso spiegheremo il perché.
Pensionati in piazza, sotto accusa l’aumento di 3 euro delle minime, la SPI CGIL attacca, ma il governo Meloni non ha colpa
Come si legge su RaiNews.it, nella giornata di mobilitazione indetta dallo SPI CGIL, pensionati in piazza contro la manovra del Governo lamentano che i 3 euro al mese di aumento sulle pensioni minime sono insufficienti. Sul sito della TV di Stato si legge che in base ad alcune testimonianze di chi in piazza è sceso, difficilmente in tempi di inflazione galoppante, la rivalutazione di 3 euro al mese delle pensioni minime può aiutare il potere d’acquisto.
Per esempio da Padova in Veneto si legge che la spesa media di un over 65 è di 1.600 euro al mese. E che nello stretto giro di due anni questa spesa è aumentata di quasi 200 euro. Naturalmente per chi vive di una pensione inferiore a 600 euro al mese la vita è davvero al limite. E su questo nessuno può dire il contrario.
L’aumento delle minime, sicuri che sia tutta colpa del governo?
Però bisogna anche vedere da dove si parte con le pensioni, con la rivalutazione e così via dicendo. Soprattutto partendo da lontano, magari da prima del governo Conte uno, perché la storia delle pensioni troppo basse e della mancata indicizzazione al tasso di inflazione è vecchia di decenni.
L’aumento delle pensioni in base al tasso di inflazione è finito sotto attacco da parte delle opposizioni per il meccanismo adottato dal governo Meloni lo scorso anno. Eppure il taglio dell’indicizzazione ha colpito pensionati che hanno trattamenti superiori a 4 volte il minimo. Anzi, il vero taglio è stato inflitto a quelli con pensioni a partire da 5 volte il trattamento minimo con il picco per quelle oltre 10 volte. Significa pensioni sopra i 6.000 euro al mese.
Le polemiche spesso sono fuori luogo
Non si può parlare di sistema previdenziale equo, di fisco equo e poi contestare l’unico provvedimento che penalizza i più ricchi e che tutela i più poveri, anche se parliamo solo di pensionati.
A noi sembra paradossale che dalle sinistre, compresi i sindacati, si chieda un fisco progressivo più di oggi, che faccia pagare di più i più ricchi e meno i più poveri. E poi sulle pensioni si accusa il governo di tagliare la rivalutazione (che è tagliata nel 2024 solo per i pensionati più ricchi).
Ecco come sono salite le minime negli ultimi anni
Tra l’altro l’inflazione che presto l’ISTAT certificherà (entro novembre), dimostra che è in frenata. Con un aumento del costo della vita di circa l’1%. Non è colpa del governo se questo è il tasso di inflazione registrato. Dal Veneto e dal sito prima citato esce fuori che la spesa media di un over 65 è di 1.600 euro.
Partiamo da una considerazione. Nel 2022 un pensionato titolare di un trattamento di 1.400 euro al mese (al di sotto di 4 volte il minimo e quindi rivalutato al 100%), ha percepito aumenti dell’8,1% a partire da gennaio 2023. Dopo la prima manovra del governo Meloni. L’inflazione era all’8,1% e quindi questo è l’incremento.
Da gennaio 2024 invece, ecco il 5,4% (poi divenuto 5,7% con tasso di inflazione definitivo). In pratica, chi nel 2022 prendeva 1.400 euro per via della rivalutazione oggi prende 1.600 euro. Se è vero che in due anni il potere di acquisto si è ridotto di 200 euro, le pensioni di chi ha una spesa pro capite di 1.600 euro hanno contenuto la perdita.
Le pensioni vanno aumentate, ma non si può fare
Il caso delle pensioni minime è differente. Ci sono partiti in maggioranza che vorrebbero portare le minime a 1.000 euro. Per questioni di cassa questo è un aumento improponibile. Forza Italia (tra l’altro lo stesso partito che con Silvio Berlusconi porterà all’ultimo vero provvedimento a favore delle minime, cioè il famoso incremento al milione di vecchie lire) è il partito che vorrebbe portare le minime a salire di importo.
Eppure nel 2024 il governo Meloni ha guardato alle minime, portandole a 614, 77 euro invece che a 598,61 come dovevano salire per via del 5,7% di inflazione. In effetti il governo Meloni ha concesso un extra incremento del 2.7%.
Per il 2025 si prosegue su questa strada, perché viene confermato un ulteriore aumento extra, anche se ridotto al 2,2%. Ma calcolato sull’importo della pensione minima al netto dell’aumento straordinario del 2024, cioè partendo da 598,61 euro. A cui c’è da aggiungere l’1% della rivalutazione ISTAT e poi il 2,2%. Con le pensioni minime che nel 2025 saliranno a 617,90 euro, cioè di 3 euro circa al mese rispetto al 2024.
Ecco come sono salite le pensioni minime dal 2019 ad oggi
Senza l’aumento extra del 2024 e questo in arrivo nel 2025, oggi si parlerebbe di pensioni minime di poco superiori a 600 euro al mese. Senza considerare poi da dove è partito l’attuale esecutivo. Perché il governo meloni quando si è insediato ha trovato pensioni minime a 524,34 euro al mese.
Per esempio, a gennaio 2019, con il primo governo Conte con Lega e Movimento 5 Stelle al governo, le minime erano a 513 euro. Con il governo Meloni queste minime sono salite da 563,74 euro nel 2023 e poi a 614,70 euro nel 2024.