Il governo cerca la flessibilità in uscita in sostituzione di una quota 102 in scadenza che ha permesso il pensionamento di una manciata di lavoratori. E sembra un po’ una presa in giro che si pensi ad un’altra misura che permetterà l’accesso a pochissimi altri beneficiari.
Il problema delle pensioni ora che non c’è lavoro
Il problema principale in questo momento è che per molti il pensionamento non è una scelta quanto una necessità. Si pensi a chi ha perduto il lavoro e non ha raggiunto i requisiti per nessun anticipo.
Per avere diritto ad una pensione deve attendere i 67 anni, magari chiedendo il reddito di cittadinanza a spese dello stato.
Quando magari ha contributi maturati che gli permetterebbero di avere una pensione anche dignitosa. Solo che non gli si permette di accedere.
La nostra idea di riforma
Fermo restando che servono i 20 anni di contributi minimi perché non permettere a chi si trova in una situazione particolare di accedere alla pensione a 62 anni? Proprio come chiedono le parti sociali. Senza vincoli, senza paletti e senza penalizzazioni.
Dare a chi lo desidera la propria pensione a 62 anni che tanto ci pensa già il coefficiente di trasformazione a penalizzare l’assegno. Ovviamente senza diritto a integrazione al trattamento minimo.
In questo modo la donna che deve assistere i genitori e non ci riesce perché deve lavorare, sceglie il pensionamento invece di pagare la badante. L’invalido che non c’è la fa più sceglie di uscire dal mondo del lavoro. E così anche il lavoratore che decide di accontentarsi della pensione maturata fino a quel momento.
Perché questa strada non sarebbe sostenibile? Se si negasse qualsiasi sussidio a chi sceglie il pensionamento anticipato nonostante l’assegno basso ne approfitterei e solo chi ne ha realmente bisogno, come appunto, il disoccupato. E allo stato cosa si toglie se non contributi versati di tasca propria che danno diritto ad una pensione che spetta?