Pensione di invalidità Pensione di invalidità

Pensione di invalidità ed aumento: la disparità di trattamento tra chi vive in famiglia e chi è coniugato

Gli invalidi civili totali fanno notare una discriminazione nell’aumento della pensione di invalidità spettante tra invalidi coniugati e quelli che vivono in famiglia.

Almeno per gli invalidi civili totali, in questo anno di disastri economici in cui la maggior parte della popolazione ha subito le conseguenze dell’emergenza sanitaria, una piccola soddisfazione c’è stata: vedersi riconoscere l’aumento della prestazione spettante che è passata, per chi rispetta i limiti di reddito, da 286 euro a 651 euro al mese.

Ricordiamo che l’aumento è toccato soltanto agli invalidi civili totali con reddito personale e coniugale al di sotto di un determinato limite imposto dalla normativa di riferimento.

Esclusi, quindi, dall’aumento gli invalidi civili con percentuale compresa tra 74 e 99%, pur essendo anch’essi percettori della pensione di invalidità. Sorvolando sulle polemiche che anche questa differenziazione ha provocato, in questo articolo ci occuperemo di quella che, secondo, alcuni, è una discriminazione molto più grave.

Aumento pensione di invalidità e discriminazione

Per gli invalidi totali, quindi, la pensione dovrebbe passare a 651,51 euro mensili che rispetto al 286 euro spettanti prima di luglio 2020, sicuramente si tratta di un bel passo avanti.

Ma attenzione, l’aumento è strettamente legato non solo al reddito personale dell’invalido ma anche a quello dell’eventuale coniuge. E qui nascono le polemiche.

L’aumento, infatti spetta all’invalido che ha reddito personale inferiore a 8469,43 euro annui ma devono essere considerati anche gli eventuali redditi del coniuge che sommati a quelli dell’invalido non devono superare i 14.447,72 (fermo restando che i redditi dell’invalido non devono superare il limite di reddito sopra riportato).

La discriminazione nasce dal fatto che se l’invalido è coniugato, quindi, deve tenere conto dei redditi del coniuge e nella stragrande maggioranza dei casi l’aumento, quindi, non spetta.

Se l’invalido, invece, vive ancora in famiglia, con genitori che lavorano o che percepiscono pensione, ad esempio, i redditi familiari non vengono considerati.

Gli invalidi totali si stanno battendo su questo punto: se si considerano i redditi del coniuge devono essere considerati anche quelli familiari. E seppur si tratta di una guerra “tra poveri” la discriminazione appare palese: un invalido che vive con familiari che hanno redditi superiori ai 14 mila euro riceve l’aumento, mentre l’invalido che ha cercato la sua autonomia dalla famiglia di origine cercando di crearsi una sua famiglia è condizionato dai redditi del coniuge.

In effetti la disparità di trattamento tra invalidi totali coniugati e che vivono in famiglia è abbastanza palese (victo, tra l’altro, che per l’attribuzione della pensione di invalidità i redditi del coniuge non sono considerati).