Pensione dopo i 67 anni Pensione dopo i 67 anni

Pensione dopo i 67 anni, perché non è una buona idea?

Permettere i pensionamenti dopo i 67 anni potrebbe essere deleterio per l’economia italiana.

Il Governo sta valutando l’ipotesi di allungare la data di pensionamento, su base volontaria, dopo i 67 anni nella pubblica amministrazione e, per chi vuole, anche nel privato.
Se da una parte di tratta di un provvedimento che permetterebbe alle casse dello Stato di risparmiare prevedendo meno pensionamenti nell’immediato, a lungo termine non si tratta di una scelta vincente.

È pur vero che molti lavoratori, dietro la promessa di un incentivo sulla falsa riga del bonus Maroni, potrebbero restare in servizio e che, almeno, la pubblica amministrazione non perderebbe personale specializzato e qualificato, ma ci sarebbe davvero un risparmio?

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Andare in pensione dopo i 67 anni non va bene

Al di là del fatto che la pubblica amministrazione potrebbe mantenere personale anche oltre i 67 anni, accantonando il collocamento a riposo d’ufficio, questo significa che molti, anche se stanchi, decideranno di restare per l’incentivo offerto. Fra 3/4 anni, però, si potrebbe assistere a un vero e proprio esodo di tutti coloro che sono rimasti in servizio che si sommerebbero ai pensionamenti previsti per quell’anno.

SI risparmierebbe al momento, questo è vero, l’Inps dovrebbe liquidare molte meno pensioni che, però, sarebbero solo rimandate e di importo più alto (oltre ai maggiori contributi versati si avrebbe un coefficiente di trasformazione più conveniente da applicare nel calcolo).

Il costo maggiore, però, si pagherebbe in disoccupazione giovanile.

Troppe permanenze al lavoro aumenterebbero la disoccupazione

Soprattutto nel pubblico impiego il ricambio generazionale è dato dai pensionamenti che permettono nuove assunzioni. Molto difficilmente, infatti, un dipendente pubblico si dimette, quasi mai viene licenziato.

I giovani in attesa di un posto pubblico, quindi, sarebbero costretti ad attendere i pensionamenti allungati con conseguenze che porterebbero di fatto la disoccupazione giovanile a salire. Se la pratica, poi, si estendesse anche al lavoro privato, poi, avremo una generazione di lavoratori che già inizia tardi a lavorare, ma che si troverebbe a farlo con 3/4 anni di ritardo maggiore.

Il problema principale è che i posti di lavoro non si creano dal nulla e che per forza di cose il grosse delle assunzioni fa seguito ai pensionamenti. A chi assume, ovviamente, potrebbe anche non convenire dover formare un nuovo dipendente che per forza di cose all’inizio sarà meno produttivo di chi se ne è andato, ma c’è anche da dire che i nuovi assunti costano meno rispetto a chi svolge lo stesso lavoro da una vita (si pensi solo agli scatti di anzianità che pesano sullo stipendio di un dipendente prossimo alla pensione).