Quota 100 scade il 31 dicembre 2021 e al momento l’unica cosa che appare certa è che la misura non sarà prorogata. Diremo addio, quindi, alla possibilità di poter accedere alla pensione con 62 anni di età e con 38 anni di contributi.
Dicevamo l’unica certezza è che la misura non sarà prorogata poichè di altro non si sa molto su quello che il governo ha intenzione di fare nel 2022 per offrire ai lavoratori maggiore flessibilità in uscita ed evitare, di fatto, di tornare alla pernsione con quanto previsto dalla Legge Fornero.
Riforma pensioni 2022
Si sono avvicendate, nel corso del tempo, diverse proposte avanzate da partiti politici, economisti, sindacati ed esperti di previdenza.
La quota 100 è stata giudicata come una misura troppo costosa anche dalla Corte dei Conti che ha consigliato di “costruire, eventualmente con gradualità ma in un’ottica strutturale, un sistema di uscita anticipata che converga su una età uniforme per lavoratori in regime retributivo e lavoratori in regime contributivo puro”.
La proposta, in breve, sarebbe quella di estendere la pensione anticipata contributiva anche a coloro che ricadono nel sistema misto (ne abbiamo parlato in questo articolo: Riforma pensioni, perchè quella a 64 anni non convince?).
Si sono susseguite proposte di quota 102, pensione a 62 anni, pensione in due step proposta di Tridico, quota 41 ecc…
Ma il governo su cosa ha intenzione di puntare?
Al momento sembra che il governo con la nuova riforma pensioni voglia rendere strutturali l’Ape sociale e l’opzione donna cercando di rafforzare allo stesso tempo i contratti di espansione che favoriscono il ricambio generazionale.
Ai pensionamenti anticipati, infatti, devono seguire le nuove assunzioni e con il contratto di espanzione l’azienda stringe un accordo bilaterale con il quale si impegna anche ad assumere.
Ovviamente allo studio c’è anche una corsia preferenziale per chi svolge mansioni gravose che potrebbe andare in pensione con la quota 97,6 come i lavoratori usuranti ( 61 anni e 7 mesi di età ed almeno 35 anni di contributi).
Lo scivolo Brunetta, che tanti consensi aveva raccolto tra i dipendenti pubblici, invece è stato impietosamente bocciato: troppo costoso per le casse dello Stato e diretto ai soli dipendenti pubblici.
Lo scivolo Brunetta, che dovrebbe permettere l’uscita dal mondo del lavoro ai dipendenti pubblici al compimento dei 62 anni, non esiste. A precisarlo fonti della Funzione Pubblica che sottolineano che tutte le notizie relative all’anticipo non fanno riferimento ad alcuna proprio del Ministero della Pubblica Amministrazione o del Governo. “Non c’è e non è mai esistito uno scivolo Brunetta”, si precisa.
Riforma pensioni dipendenti pubblici
Ovviamente c’ bisogno di un ricambio generazionale nella PA e nelle linee programmatiche presentate il 9 marzo si parla di una ipotesi di incentivo all’esodo volontario ma solo per i dipendenti molto vicini all’età pensionabile o che non sono in graco di covliere la sfida dell’innovazione tecnologica.
“Il numero di cessazioni a legislazione vigente, però, consente già un adeguato ricambio generazionale e le norme attuali sono più che sufficienti a garantire flessibilità in uscita. Non è pertanto necessario introdurre ulteriori accelerazioni”, assicurano le fonti.
Si mettano, quindi, pure l’animo in pace i pubblici dipendenti, il contratto di espansione non sarà attuato anche nella pubblica amministrazione. Ma noi l’avevamo anticipato che una mossa del genere non sarebbe stata possibile.
Nel settore privato, infatti, a sostenere il costo dell’anticipo è l’azienda, nella Pubblica Amministrazione il costo dell’anticipo dovrebbe essere sostenuto dalle casse dello Stato, già pesantemente indebitate.
Riforma pensioni dipendenti pubblici
Ovviamente c’ bisogno di un ricambio generazionale nella PA e nelle linee programmatiche presentate il 9 marzo si parla di una ipotesi di incentivo all’esodo volontario ma solo per i dipendenti molto vicini all’età pensionabile o che non sono in graco di covliere la sfida dell’innovazione tecnologica.
“Il numero di cessazioni a legislazione vigente, però, consente già un adeguato ricambio generazionale e le norme attuali sono più che sufficienti a garantire flessibilità in uscita. Non è pertanto necessario introdurre ulteriori accelerazioni”, assicurano le fonti.
Si mettano, quindi, pure l’animo in pace i pubblici dipendenti, il contratto di espansione non sarà attuato anche nella pubblica amministrazione. Ma noi l’avevamo anticipato che una mossa del genere non sarebbe stata possibile.
Nel settore privato, infatti, a sostenere il costo dell’anticipo è l’azienda, nella Pubblica Amministrazione il costo dell’anticipo dovrebbe essere sostenuto dalle casse dello Stato, già pesantemente indebitate.
Quota 100 scade il 31 dicembre 2021 e al momento l’unica cosa che appare certa è che la misura non sarà prorogata. Diremo addio, quindi, alla possibilità di poter accedere alla pensione con 62 anni di età e con 38 anni di contributi.
Dicevamo l’unica certezza è che la misura non sarà prorogata poichè di altro non si sa molto su quello che il governo ha intenzione di fare nel 2022 per offrire ai lavoratori maggiore flessibilità in uscita ed evitare, di fatto, di tornare alla pernsione con quanto previsto dalla Legge Fornero.
Riforma pensioni 2022
Si sono avvicendate, nel corso del tempo, diverse proposte avanzate da partiti politici, economisti, sindacati ed esperti di previdenza.
La quota 100 è stata giudicata come una misura troppo costosa anche dalla Corte dei Conti che ha consigliato di “costruire, eventualmente con gradualità ma in un’ottica strutturale, un sistema di uscita anticipata che converga su una età uniforme per lavoratori in regime retributivo e lavoratori in regime contributivo puro”.
La proposta, in breve, sarebbe quella di estendere la pensione anticipata contributiva anche a coloro che ricadono nel sistema misto (ne abbiamo parlato in questo articolo: Riforma pensioni, perchè quella a 64 anni non convince?).
Si sono susseguite proposte di quota 102, pensione a 62 anni, pensione in due step proposta di Tridico, quota 41 ecc…
Ma il governo su cosa ha intenzione di puntare?
Al momento sembra che il governo con la nuova riforma pensioni voglia rendere strutturali l’Ape sociale e l’opzione donna cercando di rafforzare allo stesso tempo i contratti di espansione che favoriscono il ricambio generazionale.
Ai pensionamenti anticipati, infatti, devono seguire le nuove assunzioni e con il contratto di espanzione l’azienda stringe un accordo bilaterale con il quale si impegna anche ad assumere.
Ovviamente allo studio c’è anche una corsia preferenziale per chi svolge mansioni gravose che potrebbe andare in pensione con la quota 97,6 come i lavoratori usuranti ( 61 anni e 7 mesi di età ed almeno 35 anni di contributi).
Lo scivolo Brunetta, che tanti consensi aveva raccolto tra i dipendenti pubblici, invece è stato impietosamente bocciato: troppo costoso per le casse dello Stato e diretto ai soli dipendenti pubblici.
Lo scivolo Brunetta, che dovrebbe permettere l’uscita dal mondo del lavoro ai dipendenti pubblici al compimento dei 62 anni, non esiste. A precisarlo fonti della Funzione Pubblica che sottolineano che tutte le notizie relative all’anticipo non fanno riferimento ad alcuna proprio del Ministero della Pubblica Amministrazione o del Governo. “Non c’è e non è mai esistito uno scivolo Brunetta”, si precisa.
Riforma pensioni dipendenti pubblici
Ovviamente c’ bisogno di un ricambio generazionale nella PA e nelle linee programmatiche presentate il 9 marzo si parla di una ipotesi di incentivo all’esodo volontario ma solo per i dipendenti molto vicini all’età pensionabile o che non sono in graco di covliere la sfida dell’innovazione tecnologica.
“Il numero di cessazioni a legislazione vigente, però, consente già un adeguato ricambio generazionale e le norme attuali sono più che sufficienti a garantire flessibilità in uscita. Non è pertanto necessario introdurre ulteriori accelerazioni”, assicurano le fonti.
Si mettano, quindi, pure l’animo in pace i pubblici dipendenti, il contratto di espansione non sarà attuato anche nella pubblica amministrazione. Ma noi l’avevamo anticipato che una mossa del genere non sarebbe stata possibile.
Nel settore privato, infatti, a sostenere il costo dell’anticipo è l’azienda, nella Pubblica Amministrazione il costo dell’anticipo dovrebbe essere sostenuto dalle casse dello Stato, già pesantemente indebitate.
Una delle ultime ipotesi avanzate in ambito riforma previdenziale è quella di estendere la pensione anticipata contributiva (oggi riservata solo a chi ha contributi versati a partire dal 1996) anche a chi ha contributi nel sistema retributivo. Ma la cosa non convince e vi spieghiamo il perchè.
Pensione a 64 anni, non una buona idea
L’idea avanzata, soprattutto per abbattere i costi del pensionamento anticipato, è quella di estendere la pensione anticipata contributiva anche a chi è nel sistema retributivo (naturalmente con ricalcolo contributivo) e fin qui potrebbe anche sembrare una buona idea.
Ma così come è strutturata la pensione anticipata contributiva sicuramente è troppo selettiva e tiene fuori dal possibile pensionamento una platea di lavoratori troppo vasta.
Sì, è vero che la misura permette l’accesso con 64 e con 20 anni di contributi e togliendo il paletto dei contributi versati solo dopo il 1996 sarebbe facilmente accessibile praticamente a tutti. Ma non si tiene conto del terzo requisito che la misura chiede: che l’importo dell’assegno sia pari o superiore a 2,8 volte l’assegno sociale INPS (si parla quindi di una pensione di 1280 euro mensili).
Per chi sa essere obiettivo, infatti, appare subito chiaro che 20 anni di contributi calcolati con il sistema contributivo per dare come pensione la cifra richiesta dalla normativa devono essere stati generati da carriere super retribuite.
Per dirla in parole povere un operaio, un impiegato, un insegnante, una commessa difficilmente potrebbero avere diritto a questa pensione.
Proprio per questo non appare una buona idea: sarebbe una pensione per pochi privilegiati, molto più selettiva di quanto lo è stata la quota 100, che permetterebbe il pensionamento a pochissimi lavoratori privilegiati (che probabilmente non hanno neanche bisogno dell’anticipo pensionistico).
Fino a qualche settimana l’unica certezza in ambito previdenziale per il 2022 era rappresentata dalla scadenza della quota 100. Non si parla, infatti, di nessuna misura per sostituire quella in scadenza e ci si trova ancora in bilico, a 5 mesi dalla fine dell’anno, anche per quel che riguarda l’eventuale rinnovo di misure già esistenti.
Pensione a 63 anni anche nel 2022
Dai rumors che arrivano dalle fonti vicine all’esecutivo, però, parrebbe che le intenzioni del governo siano quelle di potenziare e rinnovare l’Ape sociale per permettere ai lavoratori di poter centrare l’uscita anticipata a 63 anni anche il prossimo anno.
Si parla, quindi, addirittura di un rafforzamento dell’Ape sociale che dovrebbe portare ad un ampliamento della platea dei possibili beneficiari. La misura , infatti, dovrebbe ricomprendere tra coloro che ne possono beneficiare anche i lavoratori cosiddetti “fragili”.
Proroga opzione donna
Non solo Ape sociale, a quanto sembra la proroga dovrebbe riguardare anche l’opzione donna e questa non può che essere una buona notizia per le lavoratrici che potranno continuare a beneficiare della pensione anticipata a partire dai 58 anni (59 anni se autonome) con soli 35 anni di contributi maturati.
Pace contributiva
Altre novità in arrivo nel 2022 potrebbero essere rappresentate anche da una nuova pace contributiva (che ricordiamo essere anch’essa in scadenza alla fine del 2021) che permetterebbe, quindi, di centrare il pensionamento anticipato andando a riscattare buchi nella storia contributiva del lavoratore.
Per quanto riguarda, infine, la riforma pensioni, come abbiamo accennato in apertura ancora non si è trovata la quadra tra governo e parti sociali su quella che potrebbe essere la misura che dovrebbe andare a prendere il posto della quota 100 alla sua scadenza. Molti avrebbero sperato ad una quota 41 per tutti, eliminando paletti e limiti della misura attualmente esistente e dedicata solo ad alcuni profili di lavoratori precoci. Ma a quanto sembra la possibilità di realizzazione di una quota 41 per tutti si allontana sempre più dall’orizzonte.
Domande dei lettori
I lavoratori sono molto preoccupati per quello che accadrà loro in futuro: accedendo alla pensione, infatti, si rischia di vedere decurtato il proprio reddito mensile anche di molto e la paura più grande è quella di non riuscire ad arrivare a fine mese con la pensione. La paura, nella maggior parte dei casi, è del calcolo contributivo, da sempre definito come meno conveniente per i pensionati.
Rispondiamo ad una lettrice di Pensioniefisco.it che ci scrive:
Ho letto con interesse il vostro articolo e sul peso che le pensioni anticipate stanno avendo e avranno sempre di più sui pensionamenti futuri. Io andrò in pensione fra 5 anni, ossia a 68 anni poiché per me slitta già di un anno in più la possibilità di andare in pensione, inoltre avendo iniziato a lavorare a settembre del 1996 , quale insegnante di scuola primaria a tempo indeterminato, rientro pure tra i ” disgraziati ” che avranno una pensione computata con il sistema contributivo , ossia una miserabile pensione ( reputo che tra qualche anno a questa parte emergerà l’onda di questa sfortunatissima generazione) . Trovo veramente orrendo questa prospettiva futura di povera gente , che tra l’altro arriverà all’età pensionistica anche con una vita lavorativa che spesso non arriverà al massimo dei contributi visto che si è cominciato ad entrare nel mondo del lavoro sempre più tardi. Io ad esempio raggiungerò a malapena 31 anni di contributi, cito il mio caso come ce ne saranno molti, per dire che ci si sta occupando tanto di mantenere quota 100 e compagnia bella e non si pensa a correggere o a favorire in qualche modo questa brutta prospettiva che riguarderà tante persone. Trovo questa una grossa sperequazione. Dal vostro osservatorio sapete se ci sono iniziative al riguardo ? Grazie e scusate se sono stata prolissa.
Per approfondire consigliamo la lettura della nostra guida: Pensione: tutto quello che c’è da sapere, la guida
Pensione contributiva misera
Nella maggior parte dei casi la pensione contributiva è meno conveniente e, tra l’altro, laddove troppo bassa non prevede neanche l’integrazione al trattamento minimo. Se, quindi, spetta una pensione più bassa di 500 euro non si avrà diritto a vedersi portare l’importo a 515 euro mensili come accade a chi ha una pensione calcolata con il sistema misto contributivo/retributivo.
Sicuramente il rischio di generare una multitudine di pensionati che non riescono a giungere a fine mese non è così sbagliata. E lo sanno anche i governanti.
Infatti da qualche anno si parla di pensione di garanzia per i giovani (e per giovani si intendono i poveri lavoratori che ricadono interamente nel sistema di calcolo contributivo).
Una della ultime proposte avanzate e per le quali, ormai, si sente una certa urgenza, è quella di fissare un tetto minimo di pensione sotto il quale non far scendere le pensioni degli oggi giovani lavoratori che domani dovranno fare i conti con il sistema contributivo.
Perchè se è vero che con il sistema retributivo si era quasi certi, a fronte di un certo numero di anni di contributi versati, di ottenere una pensione che era l’80% dell’ultimo stipendio, con le pensioni interamente contributive (a meno che non si facciano carriere con retribuzioni molto alte) il rischio è quello di ricevere un assegno che è meno della metà dell’ultimo stipendio portando i nuclei familiari a dover fare i conti con un brusco calo delle entrate.
L’unica iniziativa al riguardo sembra essere quella della pensione di garanzia anche se è stata avanzata l’ipotesi anche di eliminare lo squilibrio dell’assenza dell’integrazione al minimo per le pensioni contributive. Vedremo cosa si farà di concreto, in ogni caso, già con la prossima legge di Bilancio.
Per dubbi e domande è possibile scrivere a: info@pensioniefisco.it
I nostri esperti provvederanno a dare una risposta al tuo quesito in base all’originalità.