Si potrebbe dire che la soluzione anti scalone Fornero, il sistema previdenziale italiano la tiene già in casa. Infatti basterebbe allargare all’intera generalità dei lavoratori l’Ape sociale, oggi limitata come perimetro e destinata a pochi.
Questo in pratica prevede una recente proposta di Cesare Damiano, esponente PD, ex Ministro della Repubblica ed ex Presidente della Commissione Lavoro della Camera dei Deputati. Ne parla in maniera eloquente il sito “Pensionipertutti.it”. Una proposta nuova ma che nei contenuti ricalca la linea che Cesare Damiano da anni persegue, quella della flessibilità in uscita ma con penalizzazioni crescenti, per le nuove pensioni anticipate.
Basta allargare l’Ape sociale
Oggi l’Ape sociale è una misura che sostanzialmente di previdenziale ha solo il nome, Anticipo Pensionistico e solo la parte contributiva dei requisiti. Infatti per centrare la misura servono almeno 63 anni di età ed almeno 30 o 36 anni di contributi versati.
La misura però è destinata a soggetti in qualche modo disagiati, ecco perché ha i connotati di una misura assistenziale. Infatti bisogna essere alternativamente invalidi, con invalidi conviventi a carico, disoccupati o alle prese con me attività lavorative gravose.
Solo per chi è alle prese con una delle 15 attività di lavoro particolarmente logorante, servono 36 anni di assicurazione previdenziale. E se la misura fosse allargata a tutti i lavoratori a prescindere da disagio reddituale, lavorativo, fisico o familiare? Si potrebbe risolvere in un solo colpo l’esigenza di flessibilità del sistema e lo scalone di quota 100.
L’idea di Cesare Damiano
Un solo anno di differenza in termini di età pensionabile minima è quella che passa da quota 100 all’Ape sociale. La prima misura infatti inizia ad essere fruibile a 62 anni di età, la seconda a 63.
Un solo anno di differenza, nettamente meglio dei 5 anni che il post quota 100 senza novità e misure alternative lascerebbe, perché si dovrebbe aspettare i 67 anni della pensione di vecchiaia.
E andrebbe meglio dal punto di vista della contribuzione necessaria perché se per la quota 100 il minimo è 38 anni, per l’Ape sociale il minimo è 36 anni, almeno stando a cosa ha detto Damiano per la sua ipotesi di allargare a tutti la misura.
E sarebbe meglio anche della famosa quota 102 che lascerebbe a 38 anni il requisito contributivo necessario ma innalzando a 64 anni l’età minima di uscita rispetto alla precedente quota 100.
E una misura estesa a tutti e quindi chiaramente previdenziale potrebbe dotare il sistema di una{{ flessibilità}} che da tutti è reputata come necessaria. Ed è qui che Damiano torna a proporre penalizzazioni di assegno proprio per permettere a chi ne ha interesse, di scegliere come e quando uscire.
L’Ape sociale estesa a tutti infatti aprirebbe ai lavoratori la facoltà di decidere di uscire dal lavoro dai 63 anni di età, ma non obbligatoriamente. In base alle esigenze del lavoratore una misura del genere potrebbe lasciare liberi gli interessati di scegliere se e come uscire dai 63 ai 66 anni, perché poi a 67 anni non sarebbe più necessario alcun anticipo dal momento che si arriverebbe all’età canonica per la pensione di vecchiaia.
E a fronte dell’anticipo concesso e sfruttato i lavoratori devono fare i conti con una penalizzazione di assegno tra il 2 ed il 3% per anno di anticipo, proprio come una volta proponeva Damiano (insieme a Maria Luisa Gnecchi e a Pier Paolo Baretta) nel suo celebre DDL 857.