Il sistema contributivo produce svantaggi per i lavoratori dal punto di vista della pensione come importo. Invece offre vantaggi come uscita dal mondo del lavoro, con requisiti migliori e più vantaggiosi, anche se numericamente, di più rispetto alle regole ordinarie. Ma il 2023 segnerà un drastico peggioramento della situazione. Che porterà molti lavoratori a passare da una quasi certa pensione, ad una sicura reiezione della domanda di pensione. Ma è il perché ad essere quasi paradossale. Infatti tutto dipende dall’inflazione e dal fatto che le pensioni e i trattamenti assistenziali saliranno di importo perché si adegueranno al tasso di inflazione.
Le regole di calcolo delle pensioni contributive
Il sistema contributivo è quel sistema di calcolo delle pensioni introdotto nel 1996 dal Governo Dini. Da quel momento le pensioni si calcolano in base ai contributi versati e non alle ultime retribuzioni. In termini pratici e senza tecnicismi, le pensioni per 9 pensionati su 10 sono diventate più basse come importo. Penalizzante il metodo di calcolo quindi. Ma alcune misure pensionistiche sono diventate più appetibili, almeno dal punto di vista dell’età pensionabile. La pensione anticipata contributiva per esempio, consente di lasciare il lavoro a 64 anni di età. E bastano gli stessi 20 anni di contributi che servono per la pensione di vecchiaia ordinaria a 67 anni di età.
I limiti di importo delle pensioni 2023
La misura che riguarda solo chi non ha contributi prima del 1996 si centra però solo se l’assegno è pari ad almeno 2,8 volte l’assegno sociale. Nel 2022 significa una pensione nell’ordine di 1.311 euro al mese dal momento che l’assegno sociale è pari a 468,28 euro. Ma per chi non ha contribuzione antecedente il 1996 c’è il vincolo della pensione pari ad 1,5 volte l’assegno sociale (703 euro circa al mese) anche per la pensione di vecchiaia ordinaria. E se non si rispetta questo ulteriore requisito tutto slitta a 71 anni. Quando sparisce pure il tetto dei 20 anni di contributi (ne bastano 5).
Nel 2023 tutto peggiora, perché sale l’assegno sociale
L’adeguamento delle pensioni al tasso di inflazione porterà anche il trattamento minimo a salire a 563,73 euro al mese a partire dal 1° gennaio 2023. E salirà pure l’assegno sociale che passerà da 468,28 euro al mese a 493,88 euro sempre mensili. Pare del tutto evidente che per quanto detto prima, con i limiti di importo utili a poter rientrare tanto nelle pensioni anticipate contributive che in quella ordinaria per i contributivi puri, la situazione peggiorerà. Per accedere alla pensione anticipata ordinaria con 64 anni di età e 20 di contributi servirà avere una pensione pari a 1.382,62 euro al mese. Oltre 70 euro in più di prima. E pensione che per chi non riesce ad arrivare ad un importo del genere passa all’anno successivo o a 67 anni. Ma è altrettanto vero che per la pensione di vecchiaia che deve essere per i contributivi puri pari a 1,5 volte l’assegno sociale, si deve arrivare a 740,82 euro al mese.