Due sono le cose che sono emerse dall’ultimo summit del governo con i sindacati. La conferma del taglio del cuneo fiscale e le pensioni inalterate rispetto ad oggi, cioè senza alcuna riforma delle pensioni. E con il prosieguo dell’esperienza di quelle misure in scadenza il 31 dicembre. Lo hanno confermato anche i sindacati a margine dell’incontro, come per esempio ha fatto Maurizio Landini leader della CGIL. A dire il vero dal summit pare sia uscita anche la volontà del governo di correggere il meccanismo dell’indicizzazione delle pensioni. Che dovrebbe tornare al metodo di prima, quello senza tagli per le pensioni più alte.
In altri termini, alcune istanze dei sindacati sono state ascoltate e pare assecondate dal governo.
Sulla riforma delle pensioni però si esce con il nulla di fatto. E non è una novità questa. Tutte le ipotesi di riforma delle pensioni infatti anno dopo anno vengono posticipate. Ed ogni legge di Bilancio non si fa altro che confermare le vecchie misure (che Landini sostiene essere gli errori del passato confermati ancora una volta), magari ritoccando, ma di superare la riforma Fornero non se ne parla proprio.
La conferma dell’Ape sociale è una buona notizia
Ma non tutti i mali vengono per nuocere. Per esempio l’Ape sociale è una misura che molti lavoratori avevano paura di non poter più sfruttare l’anno venturo. E invece, ecco la sorpresa, cioè la conferma della misura che dovrebbe essere presente nel pacchetto pensioni della legge di Bilancio. Che diventi strutturale o meno poco importa. Resta il fatto che se verrà confermato il tutto, l’anno venturo ci saranno ancora lavoratori che potranno sfruttare l’uscita. Anzi, se a questo aggiungiamo una recente sentenza della Cassazione, la misura diventerebbe anche più favorevole.
Pensioni 2025 ancora con l’Ape sociale, ecco i requisiti ed una grande novità per la pensione a 63 anni
L’Ape sociale nel 2025 se rimarrà come oggi, con le stesse regole, permetterà di uscire dal lavoro a quanti completano 63 anni e 5 mesi di età. Come al solito la misura sarà destinata solo a qualche categoria di lavoratori.
Partiamo dai caregivers, che devono aver iniziato a convivere con il parente disabile da almeno 6 mesi prima di presentare la domanda di pensione. Poi ci sono gli invalidi, che devono avere almeno il 74% come percentuale di invalidità civile. I disoccupati invece, devono aver terminato di prendere la Naspi, anche se come vedremo dopo su questo aspetto, una sentenza della Cassazione ribalta questo concetto. Infine i lavori gravosi, cioè una delle 15 attività di lavoro che rientrano in questa definizione, devono essere stati svolti per 7 degli ultimi 10 anni o per 6 degli ultimi 7 anni.
Per invalidi, caregiver e disoccupati basteranno i 30 anni di contributi. Per i lavoratori alle prese con il lavoro gravoso, serviranno invece 36 anni di versamenti.
La nuova Ape sociale 2025, per i disoccupati un requisito in meno?
Come per ogni misura, strumento o legge dello Stato, le interpretazioni possono essere diverse. Ogni singolo articolo introdotto in un atto legislativo, può essere oggetto di diversa interpretazione. Questo è il caso anche dell’Ape sociale per lo spaccato relativo ai disoccupati. L’INPS e la Cassazione per esempio, danno una diversa interpretazione della regola che vorrebbe il disoccupato dentro il perimetro della pensione con l’Ape sociale solo a seguito di fruizione della Naspi.
Con la sentenza numero 24950 del 2024 la Corte di Cassazione va esattamente contro l’INPS dal momento che parla di un diritto all?Ape sociale che va garantito anche a chi non ha preso la Naspi. Una contribuente infatti ha ricevuto la reiezione della domanda di Naspi da parte dell’INPS proprio perché non aveva preso la Naspi, anche se aveva perso il lavoro del tutto involontariamente. In effetti leggendo l’apparato normativo dell’Ape sociale per i disoccupati si evince che “coloro che si trovano in stato di disoccupazione a seguito di cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento, anche collettivo, dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale o per scadenza del termine del rapporto di lavoro a tempo determinato a condizione che abbiano avuto, nei trentasei mesi precedenti la cessazione del rapporto, periodi di lavoro dipendente per almeno diciotto mesi, hanno concluso integralmente la prestazione per la disoccupazione loro spettante e sono in possesso di un’anzianità contributiva di almeno 30 anni”.
Perché ciò che conta è lo stato di disoccupazione e non la Naspi percepita interamente
Si parla di disoccupati involontari è vero, che è anche un requisito fondamentale per prendere la Naspi. Ma l’indennità per disoccupati nella norma è citata solo come vincolo per poter prendere l’Ape, perché chi prende la Naspi deve prima aver terminato di percepire l’indennità per disoccupati. Invece l’INPS, nel respingere la domanda della contribuente ha considerato la fruizione completa della Naspi come fattore determinante per poter poi avere accesso all’Ape. Invece, almeno secondo la sentenza della Cassazione, che ha confermato il diritto alla pensione per la ricorrente, ciò che conta è lo stato di disoccupazione. Se è vero che parliamo di una misura che deve andare incontro a situazioni di difficoltà di un lavoratore, allora la tesi della sentenza può anche essere considerata come equa.