Pensioni 2025, riforma Fornero e differenze, uscite a 65 anni o con 40 anni di contributi Pensioni 2025, riforma Fornero e differenze, uscite a 65 anni o con 40 anni di contributi

Pensioni 2025, riforma Fornero e differenze, uscite a 65 anni o con 40 anni di contributi

Come si andava in pensione una volta non è paragonabile a come si va adesso, e le pensioni 2025 legate alla riforma Fornero sono un problema.

Il 2025 si aprirà dal punto di vista previdenziale come si sono aperti gli ultimi anni, cioè senza grandi novità e con le solite misure il più delle volte legate ancora alla riforma Fornero. Ma tra pensioni 2025, riforma Fornero e differenze tra come si andava in pensione prima e come si va in pensione adesso cosa è cambiato realmente? Il dubbio è lecito, anche perché chiunque si trova a dover andare in pensione, ormai da anni guarda al passato con un senso di nostalgia. Ma è davvero così o è solo un luogo comune? Ci riferiamo al fatto che si continua ad addossare la colpa di questa situazione sempre e solo a quella famigerata riforma partorita dal governo Monti nel 2011 ed in vigore dal 2012.

Le pensioni senza limiti di età ieri, oggi e domani, le differenze tra pensioni 2025 e riforma Fornero

Per le pensioni 2025 ci sarà ancora un canale di uscita anticipato senza limiti di età e ordinario, nel senso che è una via strutturale e aperta a tutti i lavoratori senza limiti di platea. Le pensioni 2025 con le anticipate, come si chiamano proprio dall’avvento della riforma Fornero hanno un limite contributivo piuttosto elevato da centrare pari come è a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. E per la decorrenza del trattamento c’è da arrivare anche ad attendere i 3 mesi di finestra.
Prima della riforma Fornero invece bastavano 40 anni di contributi senza limiti anagrafici e senza differenze tra uomini e donne. E senza finestre di decorrenza. La misura però si chiamava pensione di anzianità.

Le pensioni 2025, con le quota cosa è cambiato prima e dopo la riforma Fornero

Nel 2011 prima della riforma Fornero se si parlava di quota si faceva riferimento alla pensione di quota 96. Che permetteva di accedere alla quiescenza a partire dai 60 anni di età, con una soglia contributiva minima pari a 35 anni. E contestualmente, usando le frazioni di anno, bisognava arrivare a quota 96.
Una misura di questo genere esiste anche oggi, solo che si chiama quota 103. Ed è evidente che ci siano delle nettissime differenze, perché oggi servono 62 anni di età e non 60 anni. E servono 41 anni di contributi e non 35 anni. Oltretutto la pensione con quota 103 è a calcolo contributivo, non può arrivare a superare 4 volte il trattamento minimo e prevede il divieto di cumulare i redditi della pensione percepita con i redditi da lavoro, tanto da dipendente che da autonomo.

Le pensioni di vecchiaia ieri e oggi

A dire il vero è stato step dopo step che si è arrivati alle soglie di oggi. Anche se per molti l’avvento della riforma Fornero spostò i requisiti di uscita in maniera repentina e improvvisa. A tal punto da creare quel famoso fenomeno degli esodati, risolto solo negli anni successivi con una marea di interventi di salvaguardia (almeno 9). Anche le pensioni di vecchiaia classiche, che si centrano con 20 anni di versamenti prima del 2012 erano più semplici. Si andava in pensione con 65 anni di età per gli uomini e le donne invece uscivano a 60 anni.. Invece adesso, dal 2019, tutti in pensione a 67 anni di età, indistintamente. E presto, se si continua così, cioè a non intervenire con una vera riforma delle pensioni o con l’aspettativa di vita sempre più alta, le soglie saliranno ancora (dal 2027 probabili altri 3 mesi in più sull’età pensionabile e sui contributi delle pensioni anticipate ordinarie).