Pensioni 5 anni prima nel 2025, ma a pagare è il lavoratore, cosa significa? Pensioni 5 anni prima nel 2025, ma a pagare è il lavoratore, cosa significa?

Pensioni 5 anni prima nel 2025, ma a pagare è il lavoratore, cosa significa?

Per le pensioni 5 anni prima nel 2025, solite penalizzazioni ed a pagare è il lavoratore, cosa significa tutto questo?

Doveva essere chiusa il 31 dicembre 2024 ed invece è stata prorogata. Pertanto fino alla fine del 2025 ci sarà ancora la possibilità di andare in pensione 5 anni prima e quindi a 62 anni. Una facoltà che avranno i lavoratori che entrano nel perimetro della quota 103. Alla pari di oggi, anche l’anno venturo ci saranno lavoratori che potranno andare in quiescenza con 62 anni e quindi con 5 anni di anticipo. Ma l’uscita ha un suo costo, perché ha delle controindicazioni.

Pensioni 5 anni prima nel 2025, ma a pagare è il lavoratore, cosa significa?

Con la Legge di Bilancio 2025 la pensione a 62 anni di età prevista dal 2023 con la quota 103 è stata confermata. Via libera alle uscite a 62 anni pure nel 2025 ma con gli stessi meccanismi e quindi con tutti i problemi che già la proroga di quota 103 nel 2024 aveva introdotto. parliamo delle penalizzazioni di assegno che pesano e non poco sui pensionati.
In effetti la pensione a 62 anni conviene come età di uscita, meno come importo degli assegni. E adesso capiremo il perché.

Pensione 5 anni prima con la quota 103, i tagli sono a tempo determinato

I nati nel 1962 hanno potuto sfruttare la quota 103 e la pensione 5 anni prima già nel 2024. I nati nel 1963 potranno ancora farlo nel 2025. In ogni caso l’importante è aver raggiunto raggiunto i 41 anni di contributi previdenziali versati.

La pensione 5 anni prima ha un solo requisito aggiuntivo che è quello dei 35 effettivi. Significa che su 41 anni almeno 35 devono essere stati raggiunti senza considerare i figurativi da disoccupazione e malattia. La misura ha 3 vincoli ben specifici.

I limiti della pensione 5 anni prima, eccoli


Due di questi sono più sopportabili perché non durano in eterno ma scadono. Partiamo dal divieto di cumulo con redditi da lavoro. Infatti chi esce con la quota 103, come accadeva già con la quota 100 o la quota 102, escludendo il lavoro autonomo occasionale fino a 5.000 euro di reddito annuo, non potrà in nessun caso lavorare.
Vietato quindi arrotondare ciò che si prende di pensione con ciò che si prenderebbe dal nuovo lavoro. Questo divieto scade una volta raggiunti i 67 anni di età.

Pensione non più alta di 2.400 euro nel 2025 con la quota 103

A 67 anni quindi eliminato il divieto di cumulo dei redditi da pensione con i redditi da lavoro. E lo stesso accade per un altro vincolo che grava sui pensionati di quota 103. Infatti la pensione con questa misura non può superare il limite di 4 volte il trattamento minimo INPS.

Se consideriamo che il trattamento minimo di oggi che è pari a 598 euro al mese, significa che la pensione lorda erogata a prescindere dal valore effettivo che avrebbe dovuto avere, non può eccedere 2.390 euro al mese più o meno. Nel 2025 per via dell’adeguamento del trattamento minimo all’inflazione, esso salirà a 600 euro se non oltre. E salirà quindi leggermente l’importo della pensione massima ottenibile con la quota 103 e 5 anni prima. Sulla misura va detto anche che ci sono finestre molto particolari che fanno slittare la decorrenza.
In effetti per i lavoratori del settore privato servono 7 mesi dalla data di maturazione del diritto alla pensione (il completamento dei requisiti necessari) per prendere il primo rateo. Nel settore pubblico invece, servono 9 mesi ad eccezione del comparto scuola che come sempre segue regole collegate all’anno scolastico e non all’anno solare.

Ecco chi paga maggiormente il dazio per le uscite a 62 anni e 5 anni prima dei 67 anni

Tornando al calcolo del trattamento, ecco che la pensione di quota 103 presenta il vero conto che il lavoratore pagherà per il resto della vita da pensionato. Perché se i vincoli prima citati mettono in luce il fatto che a 67 anni si torna “liberi”, non è così per il calcolo contributivo della prestazione. Rispetto alla versione del 2023 infatti la quota 103 prevede il ricalcolo contributivo dei trattamenti.

Significa che la pensione per chi vanta 18 o più anni di lavoro in epoca retributiva, diventa tutto contributivo. Perdendo così il vantaggio del calcolo basato sulle ultime retribuzioni che per i soggetti prima citati sarebbe dovuto valere fino al 31 dicembre 2011.

Un danno stimato da tecnici e studi che può arrivare a tagliare anche del 30% la pensione. E che come detto dura per sempre. Meno dannoso è il ricalcolo contributivo per chi ha meno di 18 anni di versamenti prima del 1996, ma resta comunque un taglio da considerare.