Il 2024 si aprirà probabilmente con una conferma delle pensioni alternative a quelle ordinarie che funzionano oggi. Infatti probabilmente resterà intatta la possibilità di lasciare il lavoro a 62 anni come funziona oggi. Una possibilità che come vedremo, riguarda pochi lavoratori. Ma dal 2025 (o al più dal 2026), i 62 anni di età diventeranno una costante per diverse misure. In alcuni casi perché sarà l’età di partenza di misure di pensionamento anticipato. Ed in altri casi perché diventerà l’età media di uscita più facile da prendere. Almeno in base alle ultime indiscrezioni che trapelano da fonti vicine al dossier pensioni.
Pensioni a 62 anni nel 2024, ma come si andrà a riposo?
La quota 103 anziché scadere il 31 dicembre prossimo, sarà prorogata al 31 dicembre 2024. Questa la cosa più probabile che accadrò nel pacchetto pensioni della legge di Bilancio che entro fine anno il Governo varerà. E allora ecco che chi compie 62 anni di età nel 2024 e allo stesso tempo completa i 41 anni di contributi, potrà sfruttare la misura come oggi.
Con il vincolo di importo che non può eccedere le 5 volte il trattamento minimo INPS per l’anno di riferimento. E con il divieto di cumulare redditi da lavoro con redditi da pensione con quota 103, per tutta la durata dell’anticipo e fino a 67 anni. Unica eccezione resta il lavoro autonomo occasionale. Ma a condizione di non superare come redditi, i 5.000 euro da questa attività autonoma non continua.
La quota 41 per tutti? a 62 anni diventa più semplice
Chi ha iniziato a lavorare a 21 anni, che è una età abbastanza frequente come inizio di carriera (tra obbligo scolastico e lavoro stabile), avrà possibilità importanti in futuro, di poter lasciare il lavoro a 62 anni di età. Perché se davvero verrà varata la quota 41 per tutti (nei prossimi anni, perché nel 2024 sicuramente no), a 62 anni chi ha cominciato a lavorare a 21, riuscirà a raggiungere i 41 anni di contributi utili alla misura.
A 62 anni con 20 di contributi, misura flessibile e cara ai sindacati
Ma se la riforma delle pensioni vedrà i natali in futuro, potrebbe anche essere accettata la strada dei sindacati,m che pretendono una prestazione flessibile a 62 anni di età con 20 anni di contributi versati. In questo caso si ragiona sulle penalizzazioni di assegno da inserire, visto che diventerebbe altrimenti, una misura sostitutiva delle pensioni di vecchiaia ordinarie.
A 62 anni con il contributivo, a 67 ricalcolo retributivo
Potrebbe anche tornare in auge una vecchia proposta dell’INPS con una pensione a partire sempre dai 62 anni di età, ma spacchettata in due quote. In pratica, parliamo della vecchi idea di Pasquale Tridico, vecchio Presidente INPS che parlava di una pensione a 62 anni liquidata con il contributivo. Quindi con un calcolo penalizzante di assegno ma solo fino ai 67 anni di età. Quando il pensionato, raggiunta l’età canonica delle pensioni di vecchiaia, poteva ricevere il ricalcolo della pensione con l’aggiunta della parte retributiva non considerata a 62 anni con l’anticipo.
Pensione a 62 anni facile con la quota 96
Ultimamente si parla anche di quota 96, come di un ritorno al passato. Ma è difficile che la misura venga solo rispolverata e riattivata. Perché prima si usciva con questa misura già a 60 anni se insieme all’età l’interessato aveva una carriera (minima di 35 anni), ma capace di fargli completare la quota 96. Probabile che si imponga una età più elevata, che oggettivamente dovrebbe essere 61 anni che insieme a 35 di contributi danno la quota 96 perfetta. Ma oggettivamente, diventerebbe sempre a 62 anni l’età di uscita più frequente con questa misura. Un anno di età in più facilita l’arrivo ai 35 anni di carriera che servono.
Il DDL di Cesare Damiano, ormai nel dimenticatoio?
Ma perché parliamo di 62 anni come di una età pensionabile abbastanza probabile? Perché perfino una vecchia proposta di legge, ormai caduta nel dimenticatoio, aveva nei 62 anni il limite anagrafico (anche se si parlava di 62 o 63 anni). La proposta prendeva il nome di DDL 857 ed era stata il cavallo di battaglia di Cesare Damiano, che all’epoca era Presidente della Commissione Lavoro alla Camera. Secondo Damiano e gli altri due proponenti (i parlamentari PD Gnecchi e Baretta), i lavoratori dovevano poter uscire a partire dai 62 o 63 anni, con 20 anni di contributi. ma accettando un taglio lineare di pensione tra il 2% ed il 3% per ogni anno di anticipo rispetto ai 67 anni.