Sarà che si tratta di una misura che allo Stato costerebbe relativamente poco, ma fatto sta che è il contratto di espansione la misura che il governo Draghi pare intenzionato a potenziare già adesso, perché se ne parla per il decreto Sostegni Bis.
La pubblicità data a questa voglia di estendere a quanti più lavoratori possibili questa misura è tanta, ma approfondendo l’argomento ed entrando nel dettaglio specifico della misura, appare evidente che non sia ciò di cui il sistema ha bisogno, anzi, si preannuncia un flop.
Una cosa che anche noi di “Pensioni e Fisco” da tempo sosteniamo, anche perché dalle nostre analisi e stime, l’appeal di una misura del genere è tutta da dimostrare. Pensione anticipata ok, ma a che prezzo?
Il contratto di espansione oggi
Il contratto di espansione così come funziona oggi è uno scivolo previdenziale appannaggio dei lavoratori di determinate aziende che intendono avviare processi di ammodernamento e innovazione, a partire dal turnover degli addetti, sostituendo i vecchi dipendenti più vicini alla pensione con i nuovi più adatti alle novità che in qualsiasi settore lavorativo vengono introdotte, dai cicli produttivi a quelli gestionali.
Più che per il lavoratore, i cui requisiti fondamentalmente sono quelli di trovarsi a 5 anni o meno dalla pensione di vecchiaia o dalla pensione anticipata (quindi a 62 anni di età o a 37,10 di contributi) sono tre i profili delle aziende di cui i lavoratori sono dipendenti.
In primo luogo ci sono le aziende che possono essere definite di grandi dimensioni. Si tratta di aziende di almeno 1.000 dipendenti, che dal 2019 possono porre in prepensionamento i lavoratori come detto, a 5 anni di distanza almeno dalle pensioni. E possono sfruttare 3 anni di Naspi per coprire delle mensilità di pensione da anticipare al lavoratore oggetto dello scivolo. Obbligo dell’azienda è quello di effettuare una assunzione ogni tre lavoratori anziani messi a riposo con lo scivolo. Per le aziende tra i 500 ed i 999 dipendenti invece, sono previsti oltre ai benefici previdenziali anche quelli occupazionali, a differenza della terza categoria di aziende, quelle tra i 250 ed i 499 addetti, che possono beneficiare solo del prepensionamento.
Perché non conviene quasi a nessuno
Adesso l’intenzione sarebbe di portare il contratto di espansione anche alle aziende tra i 100 ed i 249 addetti, non propriamente grandi imprese. Una estensione notevole di questo scivolo, che però sembra poco appetibile sia per le aziende che per i lavoratori.
Naturalmente se la possibilità è quella di pensionarsi 5 anni prima dei 67 anni, l’appeal sarebbe evidente, anche se si pagherebbe dal punto di vista dell’importo della pensione che sarebbe più basso dal momento che l’azienda per chi è prossimo alla pensione di vecchiaia non coprirebbe i contributi previdenziali mancanti per i 5 anni di anticipo.
Per chi invece è a meno 5 anni dalla pensione anticipata, l’azienda oltre a garantire la rendita mensile, dovrebbe garantire pure la contribuzione fino ai 42 anni e 10 mesi richiesti dalla pensione anticipata.
E a fronte di due o tre anni di recupero della naspi teoricamente spettante al lavoratore, l’azienda si sobbarcherebbe un costo non irrisorio. E dal punto di vista dell’operaio invece, se si tratta di un soggetto con 64 o 65 anni, potrebbe benissimo scegliere la Naspi direttamente rispetto allo scivolo con il contratto di espansione. Infatti con la Naspi andrebbe a recuperare pure la contribuzione figurativa, cosa che nel contratto di espansione, come detto prima, non accade se la pensione spettante in futuro è quella di vecchiaia.