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Pensioni, che succede se il sistema e l’Inps collassano?

Il sistema in Italia potrebbe collassare e lo Stato dovrebbe dare soldi all’Inps per pagare le pensioni.

Pensioni, è allarme per la sostenibilità del sistema previdenziale. Poche nascite, speranza di vita in aumento e flussi migratori abbondanti fanno pensare che il rapporto della dipendenza tra giovani e anziani vada peggiorando: troppi pensionati e troppo pochi a versare i contributi. Se i livelli di spesa non diminuiscono l’equilibrio del sistema previdenziale italiano non può mantenersi.

Nel Rapporto “La natura delle entrate e delle uscite dell’Inps in rapporto alla dimensione previdenziale e assistenziale delle prestazioni” si analizza la situazione previdenziale in Europa e il rapporto tra chi ha oltre 64 anni e chi ne ha tra i 20 e i 64 anni in Ue è pari al 36%, ma in Italia è molto più alto e arriva al 41%.

Solitamente quando il sistema previdenziale non riesce a supportare la spesa delle pensioni interviene lo Stato a trasferire fondi all’Inps, come già avvenuto fino ad ora per permettere al sistema di non collassare.

Il problema delle pensioni in Italia

“lo stock di pensioni è rimasto sostanzialmente invariato. Sebbene una quota crescente delle pensioni venga liquidata in regime contributivo, ed è quindi legata ai contributi versati nell’arco della vita lavorativa dai beneficiari, permane la questione della sostenibilità in quanto il sistema di finanziamento delle prestazioni è a ripartizione, ovvero i contributi ricevuti in un determinato anno sono utilizzati per erogare i trattamenti pensionistici dello stesso anno. Se l’importo delle prestazioni erogate supera i contributi versati da lavoratori e imprese si determina uno squilibrio strutturale del sistema che deve essere compensato e ciò generalmente avviene con trasferimenti dello Stato a carico della fiscalità generale” spiega il Civ dell’Inps.

Uno squilibrio che può derivare “dalla generosità delle prestazioni, frequente nel caso di prestazioni determinate con il metodo retributivo e quindi slegate dall’entità dei contributi versati dal lavoratore, ma anche dall’invecchiamento demografico per cui si registra un aumento delle prestazioni pensionistiche da pagare non controbilanciato da un aumento della contribuzione”.

Basti pensare che l’età mediana in Italia è di 48,4 anni: questa è l’età che segna il confine tra la metà più giovane della popolazione e quella più anziani. La cosa preoccupante è che negli ultimi 5 anni l’età mediana è cresciuta di 4 anni e supera attualmente di 4 anni la media europea (44, 5 anni).

Cosa fa aumentare l’età mediana? Il calo della fertilità e delle nascite e l’aumento della speranza di vita.

Ci si mette anche l’inflazione

“Un ulteriore fattore di rischio per l’equilibrio del sistema pensionistico – scrive il Civ – è la recente pressione inflazionistica che negli ultimi due anni ha fatto crescere la spesa previdenziale per effetto degli adeguamenti delle prestazioni all’aumento del costo della vita. D’altra parte, la crescita economica modesta non ha consentito un aumento della contribuzione per far fronte alla spesa più elevata” spiega il Civ dell’Inps.

L’alta spesa previdenziale riflette due problematiche de sistema: da una parte l’età del pensionamento che è fissata a 64,2 anni, nonostante l’età di accesso è fissata a 67 anni una delle più alte in Europa. I troppi canali di uscita anticipati non consento di far alzare quel dato.

Dall’altra parte c’è la generosità del sistema previdenziale che prevede un tasso di sostituzione del 58,9%, circa 14 punti superiore alla media Ue. Il pensionato, praticamente, riceve una pensione che è quasi il 60% rispetto all’ultimo stipendio e il fatto che le pensioni in Italia siano così basse fa pensare che probabilmente sono bassi i stipendi da cui derivano.

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