Esistono alcune particolarità del sistema previdenziale italiano che rischiano di essere male interpretate dai contribuenti. Ed a tal punto da far perdere anche la pensione a determinati contribuenti. Alcuni vantaggi che le stesse misure pensionistiche hanno, finiscono con l’essere deleterie e penalizzanti per molti che non sanno cosa fare. Basta sbagliare qualcosa, anche inconsapevolmente, per perdere il diritto alla pensione.
Il sistema pensioni in Italia e gli errori da non commettere per chi deve andare in pensione
Ci sono delle regole sulle pensioni che se male interpretate fanno addirittura perdere il diritto alla prestazione da parte dei contribuenti. Un tipico esempio riguarda l’utilizzo di un periodo di non lavoro e scoperto da contribuzione obbligatoria, per cercare di migliorare la situazione. Trasformare determinati periodi e renderli utili alla pensione a volte può sortire un effetto differente e contrario. Tradotto in termini pratici, un lavoratore pensando di fare del bene riscattando un periodo di contribuzione, finisce con il fare peggio. Il discorso da fare riguarda per esempio gli anni del servizio militare o anche gli anni dedicati allo studio universitario. Ci sono casi infatti in cui un lavoratore, proprio alla luce di un riscatto, finisce con il perdere il diritto alla prestazione che invece gli spettava.
I contributi figurativi servono, ma non sempre
Il sistema tende a distinguere i lavoratori in due macro categorie. Tutto dipende dalle riforme che il sistema previdenziale ha introdotto negli anni. La linea di demarcazione più importante per il sistema previdenziale e quella data dopo l’introduzione della riforma Dini. In quella riforma il sistema passò dall’essere un sistema retributivo al diventare un sistema contributivo. Erano gli anni 1995 e 1996. Poi nel 2011 e 2012 con la riforma Fornero la differenza diventò più marcata. Infatti le regole generali di pensionamento, sono differenti tra chi ha iniziato a lavorare prima e chi dopo il 1996. Anche le misure ordinarie prevedono requisiti differenti. Ma sono proprio queste differenze a rischiare di compromettere il pensionamento di qualcuno.
La pensione anticipata contributiva e perché a volte militare o Università sono dannosi
Riscattare il periodo di studio universitario fino a 5 anni può garantire un doppio vantaggio. Può garantire 5 anni di contributi in più, anche se figurativi, utili sia al calcolo dell’importo della pensione che al diritto. Basti pensare a chi mancano 5 anni di contributi per arrivare ai 20 anni utili alla pensione di vecchiaia. Riscattando gli anni di studio che hanno portato poi al conseguimento della laurea, si amplia il proprio montante contributivo. Lo stesso vale per il servizio militare. Ma se sono periodi che finiscono con il far diventare il diretto interessato, un retributivo, finiscono con il far perdere il diritto alla pensione a 64 anni. La pensione anticipata contributiva si centra con 64 anni di età e 20 anni di contributi versati. La pensione deve essere pari ad almeno 2,8 volte l’assegno sociale. Ma occorre che non ci siano contributi a qualsiasi titolo versati prima del 1996. Il riscatto di un periodo di non lavoro come quelli precedentemente citati, possono far perdere lo stato di contributivo e perdere il diritto all’uscita anticipata a 64 anni.
Situazione opposta per la pensione a 67 anni
Sempre chi ha iniziato a lavorare dopo il 1995 deve completare un terzo requisito per accedere alla pensione di vecchiaia ordinaria. Oltre ai 67 anni di età o ai 20 anni di contributi versati, serve una pensione superiore a 1,5 volte l’assegno sociale. Se la pensione è più bassa, l’interessato non potrà uscire a 67 anni ma rimandare il pensionamento a 71 anni. Una situazione che qualcuno potrebbe risolvere riscattando un anno di militare o un anno di studio universitario. In questo caso lo status di contributivo puro che viene perso, avvantaggia il lavoratore.