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Pensioni: da quota 96 a quota 103 per le anticipate e adesso si riparte

Sempre meno lavoratori scelgono le pensioni con le quote per andare in quiescenza, ma perché?

Sulle pensioni l’obiettivo che il governo ha fissato è quello della riforma entro la fine della legislatura. Si parla del 2027, quando però ci sarà da fare in conti anche con il previsto aumento di 2 o 3 mesi per l’adeguamento alla stima di vita della popolazione. La riforma però è piuttosto difficile da varare. Anzi, dopo il calo delle uscite anticipate con le misure a quota, si rischia di dover dire addio a questi strumenti. Tutto nasce dal continuo inasprimento che queste misure hanno subito negli anni. E da regole sempre più penalizzanti che hanno reso meno appetibili queste misure.

Pensioni: da quota 96 a quota 103 per le anticipate e adesso si riparte

L’obiettivo è superare la riforma Fornero. Perché la situazione sempre più aspra del sistema pensionistico nasce proprio dalla famigerata riforma delle pensioni di quel governo Monti. Parlando di misure a quota, prima della Fornero, cioè fino al 2011 si poteva andare in pensione con 60 anni di età e con 35 anni di contributi. La misura si chiamava quota 96 e per completare la combinazione erano utili anche le frazioni di anno. Nel tempo, con la chiusura di quota 96 e delle pensioni di anzianità, i governi che si sono succeduti hanno introdotto sempre più misure tampone, che hanno solo indorato la pillola senza risolvere il fatto che le pensioni sono diventate sempre più lontane. Sono nate nell’ordine opzione donna, l’Ape sociale, la quota 41 per i precoci e poi in serie, quota 100, 102 e 103.

Perché le pensioni anticipate perdono appeal

Man mano che passano gli anni, e man mano che la quota sale come dimostrano i numeri che da quota 100 sono arrivati a quota 103, sempre meno lavoratori hanno sfruttato questi strumenti. La quota 100 è stata forse l’ultima misura che ha permesso pensionamenti rilevanti. A tal punto che ancora oggi la misura viene accusata di aver avuto un impatto troppo forte sulle casse pubbliche. Si poteva lasciare il lavoro con 62 anni di età e 38 anni di contributi. Già con il passaggio a quota 102 la situazione precipitò come numero di nuovi pensionati con questi strumenti. Perché l’età passò da 62 a 64 e i 38 anni di contributi restarono fissi. Si assottigliò la platea degli aventi diritti. Ancora peggio nel 2023 con la quota 103, anche se l’età tornò indietro a 62 anni. In questo caso l’aumento da 38 a 41 anni di contributi necessari produsse un taglio dei potenziali aventi diritto.


Nel 2024 la quota 103 è diventata sempre meno favorevole

La quota 103 è in vigore anche nel 2024, ma stavolta il colpo, anche se i requisiti sono rimasti gli stessi, è stato più pesante. Più che operare un taglio dei potenziali aventi diritto, è stata resa la scelta dei lavoratori meno appetibile. Perché la pensione è diventata contributiva e quindi, un lavoratore per andare in pensione con questa misura deve fare i conti pure con un taglio di assegno. E per pochi anni di anticipo rispetto ai 42,10 anni delle pensioni anticipate ordinarie per gli uomini (per le donne ancora peggio visto che bastano 41,10 anni di versamenti), molti dicono di no alla potenziale uscita con la quota 103.