Pensioni minime e rivalutazione, un gennaio ricco in arrivo, le cifre e gli aumenti Pensioni minime e rivalutazione, un gennaio ricco in arrivo, le cifre e gli aumenti

Pensioni minime e rivalutazione, un gennaio ricco in arrivo, le cifre e gli aumenti

Pensioni minime e rivalutazione, un gennaio ricco in arrivo, le cifre e gli aumenti che fanno ben sperare i pensionati.

Aumenteranno le pensioni a gennaio. Su questo nessun dubbio dal momento che lo scatto annuale delle pensioni è una prassi che si ripete anno dopo anno. E non dipende dal governo in carica, perché si tratta semplicemente dell’applicazione della rivalutazione delle pensioni al tasso di inflazione.
Per contenere la perdita di potere di acquisto che le pensioni per forza di cose subiscono con l’aumento del costo della vita, ecco quindi che l’INPS concede annualmente gli incrementi. Quindi, aumenti in arrivo e senza alcun dubbio. Ma il come arriveranno questi aumenti, le cifre, le percentuali ed i meccanismi invece lasciano dubbi. Ed in questo caso centra il governo.
Dalle ultime indiscrezioni però arriva un’ondata di ottimismo e parliamo di aumento delle pensioni. Non tanto per la percentuale di inflazione che è piuttosto bassa. Ma quanto per il meccanismo da adottare. Ecco perché su pensioni minime e rivalutazione, un gennaio ricco in arrivo, le cifre e gli aumenti dovrebbero essere maggiori di quello che si pensava.

Pensioni minime e rivalutazione, un gennaio ricco in arrivo, le cifre e gli aumenti

Partiamo dalla rivalutazione, che oggi rischia di diventare una sorta di spada di Damocle del governo Meloni. Un ricorso di un contribuente infatti è finito davanti la Corte Costituzionale. E quando un provvedimento del governo finisce davanti alla Consulta è perché sullo stesso provvedimento aleggia lo spettro della incostituzionalità. In pratica è un provvedimento su cui c’è il dubbio che vada contro i principi della nostra principale legge, cioè quella della Carta Costituzionale.
Tutto nasce dal fatto che la rivalutazione delle pensioni nel 2024 è stata applicata con un meccanismo che penalizza due volte i pensionati con trattamenti sopra 4 volte il minimo. La prima penalizzazione è dovuta dallo schema della perequazione che da l’aumento pieno solo alle pensioni fino a 4 volte il trattamento minimo. Poi inizia il decalage, con l’85% del tasso di inflazione per quelle fino a 5 volte, il 54% per quelle fino a 6 volte, il 47% per quelle fino a 8 volte, il 37% per quelle fino a 10 volte ed infine il 22% per quelle ancora più alte.
In pratica, se è vero che l’inflazione è stata dell’1,6% solo le pensioni fino a circa 2.200 euro lordi saliranno dell’1,6%. Già quelle sopra 2.200 e fino a circa 2.800 euro saranno rivalutate all’1,36%, cioè all’85% dell’1,6%.

Pensionati sempre più penalizzati, ecco perché

Ma la penalizzazione non finisce a questo. Perché anche se il sistema nasce a scaglioni progressivi, l’applicazione del taglio è sull’intero importo della pensione. Invece con il meccanismo progressivo il taglio doveva essere applicato solo sulla parte di pensione eccedente lo scaglione precedente. In modo tale da garantire il 100% di rivalutazione anche alle pensioni più alte, ma solo sulla parte di pensione fino a 4 volte il trattamento minimo.
Alla luce del fatto che c’è una presunta incostituzionalità su questo meccanismo ed alla luce del fatto che parliamo di una rivalutazione solo dell’1,6%, il governo starebbe pensando di azzerare questo meccanismo e di rivalutare tutte le prestazioni al 100%.
O al massimo di tornare alle vecchie tre fasce progressive che, partendo dalla rivalutazione al 100% dei trattamenti fino a 4 volte il minimo, prevedeva il 90% per le pensioni fino a 5 volte il trattamento minimo ed il 75% per quelle più alte.

La nuova rivalutazione delle pensioni e i due ipotetici scenari

Nel primo caso a prescindere dagli importi delle prestazioni, l’aumento sarà per tutti dell’1,6% (sempre che sia confermato questo tasso di inflazione). Quindi, una pensione da 1.000 euro salirebbe di 16 euro al mese, una di 3.000 euro di 48 euro al mese, una di 6.000 euro di 96 euro ed una da 10.000 euro di 160 euro al mese. Nel secondo caso invece, il taglio sarebbe meno forte, perché per esempio una pensione da 10.000 euro godrebbe di un aumento dell’1,6% fino a 2.200 euro circa, per poi scendere all’1,44% (il 90% di 1,6%) per la parte di pensione sopra 2.200 euro e fino a 2.800 euro e all’1.20% per la parte ancora maggiore della pensione.
Con il meccanismo finito davanti alla Consulta invece, una pensione da 10.000 euro sarebbe aumentata solo dello 0.352% (il 22% di 1,6%).