Essere nato prima del 1960 almeno dal punto di vista pensionistico può essere considerato un vantaggio non indifferente. È quello che uscirà fuori nel 2022, quando quota 100 scomparirà per sempre e quando probabilmente anche l’Ape sociale non verrà confermata (su questo non c’è alcuna ufficialità, ma la data di scadenza prevista per la misura resta il 31 dicembre prossimo).
Basterà un giorno in più di differenza sulla data di nascita, per correre il rischio di posticipare la pensione addirittura di 5 anni. Sono gli effetti dello scalone che se non si interverrà con nuove misure, verrò ricordato come una iattura simile alla questione esodati della Riforma delle Pensioni di Elsa Fornero.
Una differenza minima di data di nascita ma enorme come pensione
Un lavoratore nato il 31 dicembre 1959 rispetto ad uno nato il 1° gennaio 1960, a parità di carriera, rischia di dover restare al lavoro, o di dover attendere la pensione, anche per 5 anni.
Infatti chi riuscirà a completare i 62 anni di età entro la fine del 2021, potrà ancora beneficiare con 38 anni di contributi versati, della ormai celebre quota 100. Chi invece non avrà la “fortuna” di essere nato 24 ore prima, potrebbe dover aspettare i 67 anni di età e la pensione di vecchiaia (o dover lavorare fino a raggiungere i 42 anni e 10 mesi per la pensione anticipata, che poi tanto anticipata non sarebbe se si considera che si arriverebbe comunque quasi all’età pensionabile di 67 anni).
Misure alternative alla quota 100
Lo scenario prima citato è senza dubbio il più drastico, cioè quello che prevede la completa inerzia del governo di fronte alla fine di quota 100. Ma non è che va meglio se davvero le ipotesi di nuove misure saranno quelle di cui si parla. Per i nati nel 1960 le ipotesi oggi più diffuse restano sempre penalizzanti.
Anche la quota 41 per tutti per esempio, a quel lavoratore che ha già 38 anni di carriera ma è nato il 1° gennaio 1960, verrebbero richiesti altri 3 anni di lavoro, cioè dai 38 di quota 100, con cui è uscito il collega nato 24 ore prima, ai 41 di questa fantomatica quota 41 per tutti.
Se invece nascesse quota 102, si tratterebbe di dover aspettare, sempre rispetto al fortunato collega, altri due anni esatti. E se passasse l’idea di Tridico, con la pensione in due quote, una a 62 anni ed una a 67, l’uscita nel 2022 verrebbe garantita e non si perderebbe niente dal punto di vista dell’attesa per la quiescenza, ma si perderebbe dal punto di vista dell’assegno, che dai 62 ai 67 anni sarebbe calcolato solo con il penalizzante sistema contributivo e quindi sostanzialmente tagliato.