Può l’aumento della vita media della popolazione italiana rappresentare un dato negativo e non positivo? Tra le anomalie o tra i paradossi tipicamente italiani a quella domanda non possiamo che dare una risposta positiva. Perché effettivamente c’è un campo dove il fatto che la popolazione sia sempre più longeva, non rappresenta un dato positivo.
Parliamo del settore delle pensioni, con il sistema previdenziale che in effetti ha un meccanismo che per ben due motivi ha un rapporto conflittuale con l’aumento della stima di vita degli italiani.
A tal punto che nello stretto giro di qualche anno, per andare in pensione di vecchiaia serviranno 68 anni di età e non più 67 anni.
Pensioni solo a 68 anni, ecco perché aumentano i requisiti
L’adeguamento dei requisiti pensionistici all’aspettativa di vita della popolazione è un fattore che può finire con il determinare un allontanamento delle pensioni per molti lavoratori.
Quindi, il primo motivo che ci permette di dire che l’aumento della vita media della popolazione sia controproducente è proprio perché le pensioni per i lavoratori si allontanano sempre di più. Il secondo motivo riguarda l’INPS, l’ente a cui si chiede la pensione nonché l’ente che deve pagare le pensioni.
Naturale che più lunga è la vita di una persona, per più tempo l’INPS deve pagare la pensione e più soldi deve cacciare l’Istituto Previdenziale.
Aumento requisiti pensioni e regole di calcolo meno favorevoli, ecco perché
Ecco perché l’aumento della vita media e il rischio di cacciare più soldi viene affrontato con due diversi canali di intervento. Uno avrà impatto già nel 2025, l’altro probabilmente comincerà ad averlo nel 2027.
Parliamo della modifica dei coefficienti di trasformazione che dal 2025 saranno meno favorevoli ai lavoratori proprio perché l’ISTAT ha certificato una maggiore longevità media della popolazione.
Invece l’altro intervento riguarda direttamente i requisiti delle pensioni, che vengono inaspriti in misura secca quando l’ISTAT certifica un incremento della stima di vita della popolazione.
Pensioni solo a 68 anni, aumenta l’età per i nati dal 1960
L’aumento della stima di vita a partire dai 65 anni, questo è il parametro che viene usato per le revisioni biennali sia dei coefficienti che dei requisiti per le pensioni. Dopo gli anni della pandemia, i cui troppi decessi purtroppo, hanno ridotto la vita media della popolazione, l’età media e la longevità della popolazione è tornata a salire.
Ed in maniera superiore alle attese a tal punto che cambiano gli scenari ipotizzati fino a qualche anno fa dell’inasprimento dei requisiti. L’ultimo scatto lo abbiamo registrato nel 2019, con l’età pensionabile che fu portata da 66 anni e 7 mesi a 67 anni. Poi lo stop, con la previsione di un nuovo inasprimento solo dal 2029, come confermato dalla Ragioneria Generale dello Stato poco tempo fa.
Secondo le nuove proiezioni nel 2027 diventeranno necessari 3 mesi in più rispetto ai 67 anni di età.
Non uno o due mesi di incremento, ma 3 mesi che è l’aumento massimo previsto. Perché se l’aumento della vita media della popolazione supera i 3 mesi, l’aumento non può eccedere questo limite e gli eventuali mesi in più slittano all’aggiornamento biennale successivo.
Ecco da dove inizieranno le penalizzazioni
Ricapitolando, pare che nel 2027 l’età per la pensione di vecchiaia aumenterà fino ad arrivare a 67 anni e 3 mesi. Il dato di fatto è che le stime parlano di incrementi di 3 mesi in tre mesi anche per i bienni successivi. Significa che potrebbero servire 67 anni e mezzo già nel 2029, con i 68 anni di età che diventerebbero il limite da centrare per la pensione di vecchiaia con 20 anni di contributi già dal 2033. In pratica per i nati nel 1965, che potevano aspirare al pensionamento nel 2032, quasi certamente dovranno aspettare un anno in più.
Ma i primi ad essere penalizzati potrebbero essere i nati nel 1960. Che anziché andare in pensione subito al compimento dei 67 anni di età nel 2027, dovranno aspettare 3 mesi in più.
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