Decidere di andare in pensione prima può sembrare una decisione saggia ma invece il più delle volte si tratta di una decisione molto penalizzante. A prescindere dalla misura che un lavoratore decide di sfruttare per andare in pensione prima, il trattamento è sempre inferiore se si guarda all’importo della prestazione. Una cosa questa che rende anticipare la quiescenza piuttosto negativa per il lavoratore. E per il diretto interessato non parliamo di penalizzazioni delle misure. Non parliamo in pratica dei tagli di misure come per esempio l’opzione donna o la quota 103 o ancora l’Ape sociale. Parliamo di penalizzazioni che nascono dalle regole di calcolo delle prestazioni stabilite dall’INPS. Il che rende il fatto che la pensione sia penalizzata, una cosa generalizzata e non limitata ad una singola misura ed alla scelta del lavoratore.
Perdi una parte della pensione quando ci vai in anticipo, ecco perché è sempre così
Andare in pensione prima espone l’interessato a due diverse penalizzazioni. E queste si sommano tra loro causando un vero e proprio salasso il più delle volte. Un vero e proprio effetto negativo sul trattamento previdenziale che si va a prendere. In primo luogo bisogna considerare il fatto che andando in pensione prima ed uscendo prima dal lavoro si interrompono i versamenti contributivi. Quindi chi anziché arrivare a 42 anni e 10 mesi di contributi per le pensioni anticipate ordinarie riesce ad uscire dal lavoro cinque anni, versa cinque anni di contributi in meno sulla propria pensione. E i contributi sia nel calcolo contributivo che in quello retributivo incidono parecchio per quanto riguarda il calcolo della prestazione.
Ecco perché uscendo prima dal lavoro si perde tanto di pensione
Più stipendio si percepisce sia nel sistema retributivo che in quello contributivo più pensione si prende. E più anni si resta al lavoro maggiore è la pensione percepita. Nello specifico infatti, un lavoratore che esce dal lavoro prima versando meno contributi finisce con il percepire una prestazione più bassa di chi magari resta al lavoro fino alla fine della sua carriera. In aggiunta a questo taglio di pensione dovuto all’interruzione anticipata del versamento contributivo, ecco che non si può non parlare dei cosiddetti coefficienti di trasformazione. Si tratta di quelle percentuali con cui viene moltiplicato il montante contributivo di un lavoratore nel momento in cui va in pensione. In parole povere il montante contributivo funge come una specie di grande salvadanaio dove i lavoratori versano contributi durante la loro carriera lavorativa. Naturalmente i contributi versati negli anni precedenti vengono rivalutati ogni anno che passa al tasso di inflazione rilevato dall’Istat.
Guida al calcolo della prestazione contributiva
Una volta aperto il montante contributivo e rivalutato al tasso di inflazione, questo montante viene passato per i seguenti coefficienti:
- 57 anni coefficiente 4,270%
- 58 anni coefficiente 4,378%
- 59 anni coefficiente 4,493%
- 60 anni coefficiente 4,615%
- 61 anni coefficiente 4,744%
- 62 anni coefficiente 4,882%
- 63 anni coefficiente 5,028%
- 64 anni coefficiente 5,184%
- 65 anni coefficiente 5,352%
- 66 anni coefficiente 5,531%
- 67 anni coefficiente 5,723%
- 68 anni coefficiente 5,931%
- 69 anni coefficiente 6,154%
- 70 anni coefficiente 6,395%
- 71 anni coefficiente 6,655%
Ecco gli esempi di quanto un lavoratore rischia di perdere
Come si può notare bene il calcolo della pensione a 60 anni è inferiore rispetto a 61 anni, 62 e così via dicendo. In pratica due lavoratori che hanno lo stesso montante contributivo ma uno esce dal lavoro a 62 anni di età ed un altro a 67 anni di età, prenderanno due pensioni diverse tra loro. Con il secondo che ne percepirà una nettamente più alta rispetto al collega. Per esempio, con 40 anni di contributi ed un montante da 400.000 euro già rivalutato per entrambi, a 62 anni si prende 19.528 euro di pensione annua, mentre a 67 anni si prende un trattamento da 22.892 euro. La pensione quindi passerebbe solo per via dei coefficienti, da 1.502,15 euro al mese a 1.761,92 euro al mese. E parliamo di carriere identiche. Se a questo aggiungiamo quanto detto prima per i maggiori contributi versati da una età all’altra, la differenza si fa ancora più marcata.