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Reddito di Cittadinanza e lavoro nero, i rischi e le sanzioni

Sarà tolleranza zero sul reddito di cittadinanza, la caccia ai furbetti del lavoro nero è rigida

Alla fine il reddito di cittadinanza resterà ancora attivo perché troppo importante in una fase di grave crisi economica come questa.

Con buona pace di chi vuole abrogarlo, il principale strumento di sostegno alle condizioni di difficoltà reddituali e alla povertà, resterà in vigore anche nel 2022.

Non senza qualche modifica però e non senza andare ad intervenire su quelle che solo le accuse che vengono mosse alla misura. In primo luogo una maggiore incidenza sui controlli dei beneficiari che si dichiarano privi di lavori, ma che invece lavorano in nero.

I furbetti del reddito di cittadinanza

Con la definizione generica di furbetti del reddito di cittadinanza si intendono soggetti che pur di prenderlo adottano trucchi e stratagemmi. C’è chi “bara” sull’Isee, o chi si finge separato o divorziato. C’è chi dichiara di vivere da solo, chi dichiara di essere senza lavoro.

E molti sono i beneficiari che invece lavorano in nero. Pratica illecita questa già di natura. E che diventa ancora peggio se in mezzo si mette pure la fruizione del reddito di cittadinanza.

Reddito di cittadinanza e lavoro nero, cosa si rischia?

Sono molti coloro che percepiscono un reddito da lavoro in nero e arrotondano con il Reddito di cittadinanza.

Il lavoro nero è uno spaccato particolare della società, con in genere il datore di lavoro che adotta lo stratagemma di non assumere un lavoratore, per pagare meno tasse sul lavoro.

Se di mezzo c’è il reddito di cittadinanza invece, spesso è la persona che percepisce il sussidio o che cerca di rientrarvi a voler essere senza contratto proprio per non perdere il sussidio.

Inps, Ispettorato Nazionale del Lavoro e Guardia di Finanza, sono questi i soggetti deputati ai controlli.

E una volta “beccati”, le conseguenze possono essere piuttosto pesanti. Infatti se la sanzione minima è la decadenza del sussidio, si può arrivare a dover restituire i soldi allo Stato (anche se il lavoro nero è iniziato da poco rispetto alla data di decorrenza del reddito di cittadinanza).

In pratica lo Stato può chiedere tutto indietro, fin dal primo mese di beneficio.

Ma si tratta di una dichiarazione mendace (quella di essere provi di lavoro), che può portare alla reclusione da 2  a 6 anni.

Inoltre si viene inseriti in una specie di “limbo” perché per i 10 anni successivi alla condanna, non si potranno più chiedere benefit all’INPS.