Oramai il meccanismo con cui il Governo italiano vare le misure previdenziali sembra diventato una autentica prassi. Si deve concedere la possibilità di andare in pensione prima, ma impedendo che tutti la possano sfruttare. Tra conti pubblici in rosso, diktat europei che sconsigliano troppa “benevolenza” in materia pensionistica e difficoltà operative varie, le pensioni sono ormai un autentico miraggio per i lavoratori. Un tipico esempio può essere la nuova pensione di vecchiaia che per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1995, arriva a 71 anni di età per via di regole particolari che tirano dentro anche l’importo della pensione per essere percepita.
Pensioni meno appetibili grazie a vincoli e penalizzazioni
Per questo che le pensioni vengono rese meno appetibili da vincoli, limiti, paletti e perfino penalizzazioni. E adesso, per perseguire lo stesso obbiettivo, cioè dotare di meno appeal la pensione, si pensa a fare l’opposto, cioè premiare chi resta al lavoro. Le vie possibili per raggiungere questo cambio di rotta sono due.
Le penalizzazioni di assegno più utilizzate
Penalizzazioni per ogni anno di anticipo sull’uscita classica a 67 anni è una delle vie più utilizzate in passato per rendere meno appetibili le pensioni anticipate. Li chiamano tagli lineari di assegno, perché di fatto riducono la pensione in percentuale per ogni anno di anticipo. Una via che per esempio ha fatto capolino anche in numerose proposte di riforma delle pensioni, nuove e vecchie come lo era il DDL 857 di Cesare Damiano. Vuoi andare in pensione prima? Ok, ma lo Stato ti taglia il 2/3% di assegno per ogni anno di anticipo rispetto ai tuoi 67 anni di età. In termini pratici, a 62 anni si perde anche il 15% di pensione e chi doveva prendere 1.000 euro a 67 anni, ne prenderà 850 subito.
Assegno contributivo come deterrente alla pensione anticipata
E poi ci sono i tagli che partono dalle regole di calcolo dell’assegno. Infatti se il taglio strutturale o lineare che prima abbiamo citato, incide in misura differente in base agli anni di anticipo, la soluzione del calcolo contributivo è forse ancora più diretta e pesante. Anche chi si trova con 18 o più anni di contributi versati prima del 1996 e avrebbe diritto al calcolo retributivo fino al 2012 e contributivo dopo, per andare in pensione prima deve accettare il calcolo completo con quest’ultimo metodo. In questo caso, come accade per le donne con il regime contributivo sperimentale loro destinato (cd opzione donna), il taglio arriva anche al 35%, anche perché le uscite anticipate sono nettamente anticipate (dai 58 anni di età).
Stop penalizzazioni di assegno, dentro incentivi a rinunciare alla pensione
Tagliare la pensione per concedere l’anticipazione è la prassi? Pare che adesso il trend sia l’opposto. Si pensa infatti a concedere incentivi e bonus a chi invece che accettare la pensione, naturalmente anticipata, resta al lavoro oltre. Alzare la pensione a chi versa contributi restando al lavoro dopo aver maturato il diritto ad una anticipata può essere una valida alternativa ai tagli che restano di poco gradimento anche a chi legge le regole. E così per esempio, se un lavoratore ha già 64 anni di età e 38 di contributi e resta al lavoro senza sfruttare Quota 102 nel 2022, gli anni in più oltre i 38 già raggiunti potrebbero valere di più sull’assegno pensionistico.
Stipendi più alti o decontribuzione per gli anni di lavoro extra a pensione maturata e non percepita
Un’altra via sarebbe dare subito di più ai lavoratori che rimandano la pensione anche a diritto acquisito. Magari dando un bonus in busta paga, cioè soldi in più durante tutti gli anni di lavoro extra rispetto al requisito pensionistico precedentemente maturato. Bonus in busta paga che potrebbe derivare da una decontribuzione degli ultimi anni di carriera, cioè di quelli extra che il diretto interessato ha scelto di svolgere nonostante avesse la pensione a portata di mano. Riversare in busta paga l’equivalente dei contributi versati concedendo contribuzione figurativa per la pensione futura sarebbe una soluzione.