L’unica cosa che può sollevare il morale di quanti riponevano nelle novità sulle pensioni della legge di Bilancio, alcune speranze, è il fatto che si parla di riforma delle pensioni nel 2024. Sono in calendario alcuni incontri tra governo e sindacati proprio per porre le basi sulla riforma. Infatti la manovra appena licenziata non ha offerto grandi spunti per restare soddisfatti. Opzione donna viene prorogata ma con limitazioni evidenti e peggiorative. L’Ape sociale continua per un altro anno, ma tutto è tranne che una vera e propria misura previdenziale di pensionamento anticipato. E la quota 103 porta in dote il fatto che per andare in pensione adesso serviranno niente poco di meno che 41 anni di contributi versati. Non certo le misure che tutti si aspettavano. Ma nel 2023 si lavorerà ad una riforma del sistema, e allora le misure che tutti si aspettano potrebbero tornare di attualità.
La pensione nel 2024 libera da vincoli per tutti?
Si parte inevitabilmente da quota 41 per tutti. La misura, che diventerebbe la nuova pensione anticipata ordinaria, fissa a 41 anni di contributi la soglia per lasciare il lavoro. Ed a prescindere dall’età anagrafica. Si tratta della stessa soglia della nuova quota 103, ma è evidente che il limite della novità della legge di Bilancio è proprio questo. l’età anagrafica di 62 anni che se collegata ad una carriera di 41 anni, sembra una esagerazione bella e buona.
Siamo sicuri che quota 41 per tutti serva alle pensioni?
Analizzando il tutto però, va detto che nel 2023 compiranno i 62 anni di età quanti sono nati nel 1961. Per completare i 41 anni di contributi versati un nato nel 1961 dovrebbe aver iniziato a lavorare a 21 anni. E grosso modo una età bassa e forse più frequente come data di avvio per chi oggi ha 41 anni di contributi. Aprire alla quota 41 per tutti significa concedere la possibilità a chi ha iniziato a lavorare prima, a 18, 19 o 20 anni di poter accedere alla misura. Non certo una platea enorme quindi. Il che dimostra la fattibilità della misura.
Opzione donna per tutte e strutturale dal 2024?
Anche opzione donna per come è stata partorita nella legge di Bilancio lascia l’amaro in bocca. Una proroga ricca di novità, e nessuna favorevole alle lavoratrici. Eppure parliamo di una misura che nel lungo periodo si dovrebbe ripagare da sola. Uscendo a 58 anni una lavoratrice perde anche il 30% della pensione. Questo in virtù di un ricalcolo contributivo che definire penalizzante non è azzardato. Man mano che passano gli anni, le lavoratrici si trovano a pesare sempre meno per le casse dello Stato. Eppure il governo ha deciso di rendere la misura meno costosa nel presente, tagliando le beneficiarie e riducendole a poche categorie.
Le discriminazioni della nuova opzione donna per le pensioni
Nel 2023 potranno andare in pensione con opzione donna a 58 anni quelle con due o più figli. Oppure quelle disoccupate o al lavoro in aziende che hanno giù provveduto ad avviare procedure di rimodulazione delle crisi aziendali. Questo almeno sembra, perché occorrerà la circolare INPS per definire meglio il perimetro della misura, ancora confusionario anche se il testo della manovra è già pronto. A 59 anni usciranno quelle con un solo figlio. Ed a 60 anni tutte le altre. Oltre a chi ha problemi di lavoro la misura si rivolgerà a disabili almeno al 74% o alle cosiddette caregivers, cioè chi ha parenti disabili conviventi da assistere. Riportare le uscite a 58 anni per tutte le dipendenti ed a 59 anni per le lavoratrici autonome, tutte con 35 anni di contributi almeno, sarebbe la soluzione della nuova riforma delle pensioni. Una soluzione priva di controindicazioni e discriminazioni di sorta.