Andare in pensione è diventato tremendamente più difficile dopo le novità del 2024 introdotte dal governo Meloni con la Legge di Bilancio. E se in alcuni casi la nostra affermazione parte dal peggioramento dei requisiti per le pensioni, in altri casi parte dal peggioramento delle regole di calcolo degli assegni. Che spingeranno molti lavoratori a rinunciare all’uscita per evidenti ragioni economiche. Ma la riforma delle pensioni che dovrebbe arrivare nei prossimi mesi, non andrà lontano da quello che abbiamo detto prima. Perché alcune misure saranno varate, ma non come vorrebbero i lavoratori. Molti dei quali ci scrivono e ci dicono quale misura secondo loro sarebbe giusto varare.
Le pensioni 2024, ecco cosa è successo dopo la manovra finanziaria
In pensione con l’Ape sociale nel 2024 è diventata una soluzione più difficile. Perché l’età di uscita è passata da 63 a 63 anni e 5 mesi. Inoltre si è assottigliata la platea dei lavori gravosi a cui la misura è destinata. Meno lavoratori potranno prendere questo scivolo. La quota 103 invece è diventata una misura contributiva. Anche se i requisiti sono rimasti gli stessi del 2023, cioè 62 anni di età e 41 di contributi, la pensione è calcolata in maniera penalizzante. E molti lavoratori diranno di no alla pensione con quota 103, anche se hanno maturato i requisiti. Anche Opzione donna è peggiorata. La platea è rimasta sempre la stessa, ridotta a 4 categorie assai particolari come lo sono le caregivers, le disabili, le licenziate o dipendenti di grandi aziende in crisi. L’età è passata da 60 a 61 anni, con un calcolo contributivo della pensione che la rendeva e la rende estremamente penalizzante.
Riforma delle pensioni, ecco le nuove misure salva lavoratori
La riforma delle pensioni dovrebbe partire da quota 41 per tutti. La misura resta quella che maggiormente trova consenso nei lavoratori. Andare in pensione a qualsiasi età e senza limiti di platea una volta raggiunti i 41 anni di contributi è la cosa che maggiormente piace. Ma secondo noi il governo non potrà in nessun caso varare una pensione del genere, senza imporre un taglio di assegno. Ecco quindi che l’ipotesi più praticabile è quella di una quota 41 contributiva, come la quota 103 di oggi. Chi vuole lasciare il lavoro una volta raggiunti i 41 anni di contributi dovrà accettare un taglio di assegno.
La pensione per quota
Stesso discorso per una ipotetica quanto difficile nuova quota 96, altra misura che piace molto. Ok all’uscita a 60 anni con 35 o 36 anni di contributi. Ma anche in questo caso, o ricalcolo contributivo, o taglio lineare della pensione per anno di anticipo rispetto ai 67 anni di età. La via anche in questo caso sembra tracciata. Forse solo una ipotetica pensione a 62 anni con 20 di contributi, con quella flessibilità tanto attesa, potrebbe nascere neutra. Anche perché tra coefficienti di trasformazione e carriere contributive bloccate, il pensionato sarebbe comunque penalizzato. Una via meno dolorosa potrebbe essere quella delle pensioni in due quote. Con la possibilità di lasciare il lavoro in anticipo, godendo però di un trattamento contributivo fino ai 67 anni, per poi passare al ricalcolo pieno del trattamento una volta arrivati all’età della pensione di vecchiaia. In questo caso la penalizzazione sarebbe a termine, e non durerebbe in eterno come negli altri casi.