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Riforma pensioni: accesso da 60 anni in poi a discrezione del lavoratore

Una riforma pensioni che preveda flessibilità in uscita non serve, c’è già, basta attuarla. Vediamo come la Fornero permetterebbe il pensionamento già a 60 anni.

Si continua ad attendere una riforma delle pensioni che permetta di superare l’attuale legge previdenziale. Il diktat, quando si parla di riforma è superare la Legge Fornero a qualsiasi costo, perché stiamo parlando della riforma lacrime e sangue che nel 2012 ha provocato tantissimi esodati (sono servite numerose salvaguardie per permetterne l’uscita) e che ha inasprito i requisiti di accesso.

Allo stesso tempo, però, ha permesso al sistema previdenziale di rimanere stabile e di non implodere. E al suo interno contiene anche la formula per permettere ai lavoratori di andare in pensione quando vogliono, magari non appena compiuti i 60 anni. Una formula che, però, oggi non è ancora applicabile e servono ancora un pò di anni.

Andare in pensione già a 60 anni

Una riforma delle pensioni non serve, basta solo avere pazienza e la Legge Fornero fornirà a tutti la misura ideale, quella che fa decidere al lavoratore quando andare in pensione.

Quello che costa oggi sul sistema previdenziale è la quota retributiva del calcolo dell’assegno. Quando tutte le pensioni saranno calcolate esclusivamente con il sistema contributivo ogni lavoratore al momento di uscire dal mondo del lavoro riceverà soltanto quello che ha versato, senza gravare sulle casse dell’Inps.

Per arrivare al contributivo puro per tutti, però, è necessario attendere ancora qualche anno, ovvero che l’ultimo lavoratore che ha iniziato a lavorare prima del 1996 sia andato in pensione. Si parlava di un contributivo per tutti già a partire dalla seconda metà degli anni 30 (dal 2036 in poi). A quel punto consentire a qualsiasi lavoratore di scegliere l’età del pensionamento non dovrebbe essere un problema per chi governerà.

Perchè la riforma pensioni è il sistema contributivo?

Il sistema contributivo di calcolo delle pensioni contiene tutto quello che serve per lasciare il pensionamento a discrezione del lavoratore. L’assegno dipendente dall’entità dei contributi versati, l’assegno è penalizzato già dal coefficiente di trasformazione se si accede alla pensione troppo presto e avvantaggiato per chi aspetta da un calcolo più alto.

Da considerare, poi, che con il sistema contributivo non esiste neanche la possibilità di avere la pensione integrata al minimo e, di conseguenza, è decisione del singolo decidere se uscire con una pensione molto bassa o rimanere al lavoro ancora per qualche anno per alzare l’importo e per avere un coefficiente maggiormente conveniente.

Insomma, nonostante quello che si pensi, il sistema contributivo è un metodo che permetterebbe il pensionamento a prescindere dall’età (e volendo anche del numero di anni di contributi versati: ognuno ha quello che ha versato realmente, anche se fosse solo una pensione di 10 euro al mese).

Flessibilità in uscita oggi

Non ha senso imporre ai lavoratori di raggiungere oggi, una determinata e un certo numero di anni di contributi per andare in pensione 5 anni prima (la quota 103 richiede 62 anni di età e 41 anni di contributi) imponendo, al tempo stesso, il ricalcolo contributivo dell’assegno. Se si penalizza l’uscita con il ricalcolo contributivo tanto vale permettere ai lavoratori di uscire anche con meno anni di contributi e fissare solo una pensione flessibile a 62 anni: poi ognuno si prende, però, l’assegno che gli spetta, anche se basso.

Il problema principale, in Italia, è che un numero troppo elevato di pensionati a fronte del numero di lavoratori sempre in diminuzione, non è sostenibile per il sistema previdenziale. Chi oggi lavora e versa i contributi, non fa altro che fornire all’Inps i soldi per pagare, mese dopo mese, le pensioni già liquidate. E se il numero di pensionati dovesse salire troppo i contributi versati dai lavoratori non basterebbero a coprire l’ammontare delle pensioni in essere.

Per questo motivo sono state previste misure flessibili per il 2024 e per il 2025 che consentono il pensionamento a pochissimi lavoratori (requisiti stringenti e paletti rigidi) contrapponendo, allo stesso tempo, incentivi economici per chi resta al lavoro: il governo vuole una popolazione attiva che lavora, non ha bisogno di altri pensionati.

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