Un minimo comune denominatore delle varie proposte di riforma delle pensioni è la parola quota. Infatti si pensa a quota 41 per tutti, ad un ipotetico ritorno alla quota 96 e ultimamente anche ad una strana quota 84. Inoltre pensiero comune è il permettere un anticipo della pensione di un contribuente, ma penalizzandolo come assegno pensionistico, magari applicando il ricalcolo contributivo. Sono due i motivi di queste penalizzazioni. Da un lato il risparmio dello Stato in fatto di conti pubblici. Da un altro lato invece, il rendere le misure flessibili, perché se una pensione anticipata non è penalizzata, diventerebbe l’unica scelta della stragrande maggioranza dei lavoratori. E in un sistema che si regge sul contributivo, la flessibilità deve necessariamente essere un fattore.
Pensione a 60 anni, perché non a quota 90?
Quota 41 viene chiamata così anche se diversamente dalle altre ipotetiche misure di cui si parla, non nasce dalla somma di età e contributi. Infatti servirebbero 41 anni di contributi versati e nessun vincolo anagrafico. Invece la quota 96 di una volta, che qualcuno vorrebbe riproporre, somma età e contributi, partendo da una base fissa di 60 anni di età e 35 di contributi e utilizzando le frazioni di anno per arrivare a 96. La quota 84 che il governo vorrebbe introdurre al posto di opzione donna, fa lo stesso, perché consentirebbe l’uscita a partire dai 64 anni di età con 20 anni di contributi. Ma se anche queste ipotetiche misure nascono con l’obbligo di ricalcolo contributivo della prestazione, perché ormai anche per la quota 41 per tutti si parla di questo, allora perché non varare una quota 90? Tanto a rimetterci sarebbe sempre il lavoratore. Riforma pensioni con quota 90 a 60 anni di età quindi fattibile? vediamo di analizzare il tutto.
La pensione a 60 anni di età con 30 di contributi, sarebbe fattibile?
Un lavoratore una volta arrivato a 60 anni di età dovrebbe essere libero di andare in pensione se ha raggiunto i 30 anni di contributi. Una affermazione questa che parte anche dalla attuale situazione del mondo del lavoro in Italia. Pochi posti di lavoro, disoccupazione elevata, precariato e così via dicendo. Sono questi i fattori che determinano una netta difficoltà dei lavoratori, nel trovare carriere lunghe e continue a tal punto da superare abbondantemente i 30 anni di contributi come ormai tutte le misure pensionistiche anticipate prevedono.
Ecco quindi che si potrebbe passare a fissare la soglia contributiva di una ipotetica misura flessibile a 30 anni. Il lavoratore dovrebbe subire un taglio di assegno ma per far coesistere le esigenze di cassa pubblica dell’INPS, il ricalcolo contributivo non andrebbe bene.
Riforma pensioni con quota 90 a 60 anni di età
Il calcolo contributivo di una pensione penalizza chi la deve percepire. Questo è assodato. Ma la penalizzazione è meno forte per chi ha pochi anni di lavoro che ricadono nel regime retributivo (prima del 1996, ndr). Evidente che andando avanti negli anni, saranno sempre meno i lavoratori che hanno carriere retributive lunghe. E allora si potrebbe passare ad una quota 90, con uscita ammessa a 60 anni di età con almeno 30 anni di contributi. Con una pensione tagliata del 2% all’anno in base all’anticipo. Un lavoratore dovrebbe così scegliere se perdere il 14% di pensione uscendo a 60 anni, il 12% uscendo a 61 anni e così via fino ai 67 anni di età, che resta il vincolo dell’età pensionabile su cui commisurare quello che a tutti gli effetti è il classico taglio lineare di pensione.