Sbagliare è umano, perseverare è diabolico. Così recita un vecchio adagio. Sbagliare è una cosa che fanno tutti, ma molti errori possono essere corretti. E questo vale anche per le pensioni e per il sistema previdenziale. Certo, dire che la riforma Fornero è sbagliata e che fu un errore è un qualcosa che possono sostenere i lavoratori. Cioè coloro che hanno subito il netto inasprimento dei requisiti di accesso alle pensioni dopo la riforma del governo Monti. Parlare di un errore per una riforma delle pensioni che fu fatta in un periodo di grave crisi economica e con il decreto Salva Italia non è esatto. Però correggere alcuni errori che in quella riforma furono commessi è possibile. Magari partendo da una nuova riforma delle pensioni con una nuova quota 96.
Riforma pensioni, con una particolare quota 96
Se c’è una misura che a molti manca nel sistema odierno è senza dubbio la quota 96. La misura fu cancellata dalla riforma Fornero nel momento in cui con quella nuova legge furono varate le pensioni anticipate ordinarie. Misura quest’ultima che ha preso il posto sia della quota 96 che delle vecchie pensioni di anzianità. Prima si andava in pensione una volta raggiunti i 40 anni di versamenti e senza limiti di età. oggi con le pensioni anticipate si va in pensione solo dopo 42 anni e 10 mesi di versamenti per gli uomini e un anno in meno per le donne. E la quota 96, misura che consentiva di andare in pensione con 35 anni di contributi a partire dai 60 anni di età fermo restando l’obbligo di completare la quota, non esiste più.
Ma stando a quanto ci indicano i nostri lettori, una delle soluzioni che più piacciono a quanti vorrebbero una nuova riforma delle pensioni è proprio la quota 96. Una riproposizione delle vecchia misura sarebbe, a detta di molti, la soluzione ideale per arrivare al superamento delle riforma Fornero.
Ecco una quota 96 alternativa
Fino al 2011 era in vigore una quota 96 che permetteva di accedere alla pensione con 35 anni di contributi versati come soglia minima. E con 60 anni di età come limite anagrafico altrettanto minimo. Inoltre andava completata la quota, data dalla somma di età e contributi usando anche le frazioni di anno. In buona sostanza, in pensione si andava con 60 anni di età e 36 anni di versamenti, oppure con 60 anni e 5 mesi di età e con 35 anni e 7 mesi di contributi, o ancora con 61 anni di età e 35 anni di versamenti e così via dicendo.
Una misura flessibile per davvero, ma da 62 o 63 anni di età
La misura era abbastanza flessibile. Certo, riproporre interamente la quota 96 come un tempo pare impossibile. Soprattutto se si considera che oggi 60 anni di età sono una soglia troppo bassa. Ecco quindi che si può giocare sul limite contributivo. Abbassando quella soglia da 35 a 30 anni come limite minimo. In modo tale da consentire per esempio a chi ha maturato 30 anni di versamenti, di uscire a 66 anni. Si potrebbe partire dai 62 o 63 anni di età come limite minimo. In questo modo con 62 anni bisognerebbe arrivare a 34 anni di versamenti per accedere alla quiescenza. E con 63 anni sarebbero sufficienti 33 anni così come a 64 anni ne basterebbero 32.