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Riforma pensioni, cosa bolle in pentola?

Prima di affrontare una riforma delle pensioni è necessario risolvere i problemi che sono alla base del sistema previdenziale.

Il governo Meloni ha annunciato a più riprese l’intenzione di varare una riforma pensionistica con l’obiettivo di superare la legge Fornero e introdurre maggiori elementi di flessibilità ed equità nel sistema previdenziale. Tuttavia, la riforma pensioni dovrà fare i conti con una serie di problematiche che riguardano sia gli aspetti economici che sociali. Vediamo quali sono le principali sfide che il governo dovrà affrontare.

La sostenibilità finanziaria del sistema previdenziale

La prima problematica riguarda la sostenibilità finanziaria del sistema previdenziale, che è messa a rischio da una serie di fattori demografici ed economici. Da un lato, infatti, si assiste a un invecchiamento della popolazione, con un aumento della speranza di vita e una diminuzione della natalità, che comporta un aumento del numero dei pensionati e una riduzione del numero dei lavoratori attivi. Dall’altro lato, si registra una crisi del mercato del lavoro, con un alto tasso di disoccupazione e precarietà, che determina una diminuzione dei contributi versati e una maggiore richiesta di prestazioni sociali.

Questi fattori hanno generato uno squilibrio tra le entrate e le uscite del sistema previdenziale, che si riflette in un elevato deficit dell’INPS e in una crescente spesa pubblica per le pensioni. Per garantire la sostenibilità del sistema nel lungo periodo, il governo dovrà trovare il modo di aumentare le entrate e contenere le uscite, senza penalizzare troppo i lavoratori e i pensionati.

La flessibilità dell’età pensionabile

La seconda problematica riguarda la flessibilità dell’età pensionabile, che è una delle richieste più forti delle parti sociali e dei cittadini. Attualmente, infatti, i requisiti per accedere alla pensione sono piuttosto rigidi e dipendono dal tipo di lavoro svolto e dal sistema di calcolo applicato. In generale, si può andare in pensione di vecchiaia a 67 anni con almeno 20 anni di contributi o in pensione anticipata con almeno 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne. Esistono poi alcune opzioni di flessibilità, come Quota 103 (62 anni di età e 41 anni di contributi) o Opzione donna, ma sono limitate nel tempo o nell’ambito di applicazione.

Il governo vorrebbe introdurre maggiori elementi di flessibilità nel sistema previdenziale, consentendo ai lavoratori di scegliere quando andare in pensione in base ai propri bisogni e alle proprie aspettative. Tra le ipotesi sul tavolo ci sono l’introduzione di una Quota 41 senza vincoli per tutti i lavoratori o la possibilità di uscire dal lavoro con un’età minima inferiore a quella ordinaria, ma con una penalizzazione sull’importo della pensione.

L’equità tra le diverse categorie di lavoratori

La terza problematica riguarda l’equità tra le diverse categorie di lavoratori, che attualmente sono soggette a regole diverse in base al tipo di lavoro svolto e al sistema di calcolo applicato. Infatti, esistono ancora delle differenze tra i lavoratori dipendenti del settore privato e quelli del settore pubblico, tra i lavoratori autonomi e quelli dipendenti, tra i lavoratori precoci e quelli ordinari, tra i lavoratori con carriere complete e quelli con carriere discontinue o frammentate.

Queste differenze generano delle disparità sia nell’accesso alla pensione sia nell’importo della stessa, creando situazioni di privilegio o di svantaggio per alcune categorie rispetto ad altre. Il governo vorrebbe introdurre maggiori elementi di equità nel sistema previdenziale, armonizzando le regole per le diverse categorie di lavoratori e garantendo adeguati livelli di tutela per i lavoratori più deboli o vulnerabili. Tra le ipotesi sul tavolo ci sono la revisione dei trattamenti privilegiati o differenziati per alcune categorie (ad esempio i parlamentari o i magistrati), l’introduzione di misure compensative per i lavoratori precoci o con carriere discontinue (ad esempio il riscatto agevolato dei periodi non coperti da contributi) o l’aumento delle prestazioni minime garantite.