Riforma pensioni, dal 2025 ecco come salgono i requisiti, c’è da rimpiangere la riforma Fornero Riforma pensioni, dal 2025 ecco come salgono i requisiti, c’è da rimpiangere la riforma Fornero

Riforma pensioni, dal 2025 ecco come salgono i requisiti, c’è da rimpiangere la riforma Fornero

Ormai parlare di riforma delle pensioni e di superamento della riforma Fornero può essere fuori tempo massimo. Ciò che un paio di mesi fa era un argomento di dominio comune visto che se ne parlava prima del varo della legge di Bilancio adesso è un argomento fuori moda.

Non ci sarà alcuna riforma delle pensioni nella legge di Bilancio. Nessuna possibilità che durante gli emendamenti in manovra, escano fuori novità sostanziali sulle pensioni. Ma dal 2025 l’argomento, fin da gennaio, tornerà d’attualità.
Il governo ha promesso una riforma entro la fine della legislatura.

E man mano che passano i mesi la fine della legislatura nel 2027 si avvicina. Ma chi attende la riforma delle pensioni come una specie di manna dal cielo, per il tanto promesso superamento della riforma Fornero dovrà ricredersi. perché probabilmente tutto peggiorerà. Magari senza toccare i requisiti delle pensioni di oggi, ma inasprendo il tutto con soluzioni quasi invisibili ma che si sentono eccome.

Perché la riforma delle pensioni e il superamento della riforma Fornero sono così difficili da fare?

Un tempo si diceva di quota 41 per tutti, come una specie di nuova pensione di anzianità ante Fornero (si andava in pensione con 40 anni di contributi). O di flessibilità dai 62 anni di età. Erano i progetti di riforma delle pensioni di cui un tempo si parlava per la maggiore. Ma riformare il sistema con misure così favorevoli e soprattutto senza tagli, non è la cosa più fattibile oggi. I perché sono diversi.

Per esempio ci sono i diktat di Bruxelles, con la UE che mina questo genere di velleità da parte dei nostri legislatori. Non si può andare in pensione troppo presto, perché vanno contenute le spese pubbliche soprattutto quelle previdenziali. E dal momento che dopo la pandemia l’Italia è il Paese a cui la UE ha garantito più aiuti, è evidente che il governo è chiamato a non andare contro le direttive europee.

I dati INPS dimostrano che in Italia le pensioni arrivano troppo presto

Oltretutto i dati dell’ultimo rapporto dell’INPS mettono in luce che in Italia si va in pensione troppo presto con un’età media di uscita ben al di sotto della media europea. L’età media italiana fissata come è a 64,2 anni di età è troppo bassa. In pratica il rapporto dell’INPS contraddice quanti pensano che i requisiti per andare in pensione in Italia siano troppo aspri o meglio che in Italia si va in pensione troppo tardi.

Quindi più che andare nella direzione di alleggerire i requisiti di uscita per le pensioni con una ipotetica nuova riforma delle pensioni si potrebbe andare nella direzione opposta. Cioè di allontanare le pensioni dei lavoratori.

Certo non c’è governo che facilmente aumenti i requisiti per le pensioni. Perché si tratta degli interventi meno popolari e con meno gradimento tra quelli che si possono fare. Ecco perché alla fine si può arrivare delle soluzioni che anche senza intaccare i requisiti di uscita dal mondo del lavoro, effettivamente spostano in avanti le pensioni.

Inasprire le pensioni, la nuova riforma delle pensioni rischia di fare peggio della riforma Fornero

In pratica come già da tempo gli ultimi esecutivi stanno facendo, si va nella direzione di far salire l’età media del pensionamento in Italia in maniera dolce cioè senza toccare i requisiti per le pensioni anticipate o di vecchiaia. A prescindere dal fatto che nel 2027 i requisiti per andare in pensione dovrebbero salire per via dell’aspettativa di vita. Infatti dopo l’ultimo scatto di cinque mesi del 2019 e dopo lo stallo dovuto all’abbassamento della vita media degli italiani per la pandemia, dal 2027 si dovrebbe tornare a salire. In termini pratici le pensioni di vecchiaia dovrebbero essere appannaggio di lavoratori che compiono 67 anni e 2 mesi di età nel 2027 e non più a 67 anni esatti.

Due mesi di inasprimento che incideranno anche sulle pensioni minime che pertanto arriveranno alla soglia dei 43 anni di contributi versati. Questi inasprimenti prescindono dalla volontà del governo ma nascono all’aggiornamento biennale dei requisiti per le pensioni rispetto all’aspettativa di vita della popolazione previsto già dalla riforma Fornero del 2012.

Aumento dei requisiti inevitabile con le aspettative di vita

Sulle pensioni anticipate va detta anche un’altra cosa. Anche se dal 2019 ad oggi (e così fino al 2027) i requisiti per andare in pensione resteranno quelli soliti cioè i 42,10 anni di contributi per gli uomini e i 41,10 anni di contributi per le donne, un inasprimento c’è stato lo stesso.

Un inasprimento nascosto dietro il fattore della decorrenza della prestazione. Infatti mentre in passato per le pensioni di anzianità e per le pensioni anticipate la decorrenza del trattamento partiva come sempre dal primo giorno del mese successivo a quello del raggiungimento dei requisiti per le pensioni, il nuovo meccanismo ha spostato questa decorrenza di 3 mesi. Di fatto hanno inasprito il tutto portando i pensionati a ricevere il primo rateo solo dopo tre mesi dalla data di maturazione dei requisiti.

E si parla che il prossimo intervento che si farà come riforma del sistema potrebbe andare nella direzione di aumentare l’attesa e le finestre spostandole da 3 a 6 o addirittura 7 mesi. Un vero fardello nascosto dietro una specie di stratagemma da parte dei legislatori.

Premi a chi resta, tagli a chi esce prima dal mondo del lavoro

Un altro metodo alternativo che verrebbe sicuramente applicato adesso per una ipotetica nuova riforma delle pensioni è quello di rendere meno appetibile possibile l’uscita dal mondo del lavoro a chi decide di andarci in anticipo. Il meccanismo dovrebbe essere secondo due diverse linee di intervento.

Da un lato le penalizzazioni di assegno per chi esce prima dal lavoro al lavoro. In questo caso si interviene in genere imponendo il calcolo contributivo totale della prestazione per i lavoratori e quindi parliamo di un calcolo meno favorevole rispetto a quello senza l’anticipo.

Oppure si passa a tagli lineari del 2% o del 3% per ogni anno di anticipo rispetto ai 67 anni di età. Una novità dal punto di vista dei tagli potrebbe essere l’utilizzo dei coefficienti di trasformazione sempre meno favorevoli per chi lascia il lavoro in anticipo rispetto ai 67 anni di età.

Abbassando i coefficienti che trasformano ciò che si versa in pensione il trattamento di cui godrebbe chi esce prima, sarebbe sonoramente penalizzante. Infine si può anche ipotizzare che nascano sempre più bonus Maroni. Nel senso che insieme alle penalizzazioni, si offrirebbero premi a chi rinvia la pensione anche avendo maturato i requisiti. Premi contributivi e di stipendio, come per esempio accade oggi con la quota 103 o la pensione anticipata ordinaria.