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Riforma pensioni 2023: e se tornasse una quota 100 con penalizzazioni?

Un ritorno della quota 100 con penalizzazioni variabili potrebbe essere una buona ipotesi come misura ponte in attesa del superamento della Legge Forero.

Il dibattito politico continua ad interrogarsi su quella che potrebbe essere la riforma pensioni 2023 per i pensionamenti del prossimo anno.

Quale misura prenderà il posto della quota 103? Perchè, ovviamente, alla scadenza della misura in questione si tornerebbe alle regole della riforma Fornero con pensione di vecchiaia a 67 anni e pensione anticipata a 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, un anno in meno per le donne. Una legge previdenziale che, però, l’esecutivo vorrebbe definitivamente superare con una riforma strutturale graduale.

Da non attuare tutta in una volta e che porterebbe alla quota 41 per tutti senza vincoli di età solo verso la fine della legislatura. Ovvero tra il 2025 e il 2026.

Riforma pensioni e quota 100

Ovviamente le ipotesi avanzate sono moltissime tra le tante spunta l’idea della quota 41 per tutti con penalizzazioni. Forse addirittura che possa ricalcare in parte l’attuale quota 103 fissando anche dei paletti anagrafici.

I sindacati continuano a chiedere a gran voce una riforma che permetta flessibilità in uscita a 62 anni. L’hanno ottenuta per il 2023 con la quota 103, una misura che, però, non permette il pensionamento di molti visto che richiede 41 anni di contributi almeno.

Una delle tante ipotesi si potrebbe puntare, però, sarebbe anche la possibilità di un ritorno della quota 100 ma con penalizzazioni.

Si riuscirebbe a consentire il pensionamento di una platea di lavoratori più ampia, ma sarebbe in ogni caso necessario inserire delle penalizzazioni per non pesare troppo sulle casse dello stato.

E le ipotesi di penalizzazione sono sempre le stesse: da una parte il ricalcolo interamente contributivo dell’assegno previdenziale, dall’altro penalizzazioni percentuali applicate in base al numero di anni di anticipo.

Appare chiaro che un ricalcolo contributivo porterebbe senza dubbio ad una penalizzazione troppo pensante per il lavoratore (si parla di un 20/22% dell’assegno previdenziale spettante) anche se si potrebbe studiare un limite (che potrebbe essere del 15%) alla penalizzazione in questione per non portare un taglio troppo drastico all’assegno di chi vuole lasciare con anticipo il mondo del lavoro.

Il limite potrebbe essere variabile, in base al tipo di lavoro svolto, all’età di accesso alla pensione e anche tenendo conto del genere del lavoratore prevedendo penalizzazioni meno pesanti per le donne, i fragili, i gravosi, gli invalidi e i disoccupati. In questo modo si darebbe modo a chi ne ha davvero necessità di uscire dal mondo del lavoro senza subire un pesante taglio dell’assegno. E lasciare al resto dei lavoratori la scelta tra il taglio ed il continuare a lavorare.